Con gesto antico l’americano ripassa lo scovolino nella canna dello schioppo già appartenuto a suo padre e a suo nonno. Schiaccia un occhio e punta il mirino verso un immaginario obiettivo con la quacchera certezza che un dio vendicatore guiderà la sua pallottola.
La polvere delle torri si è adagiata sulla più importante delle metropoli, il centro dell’economia, degli affari, della cultura, ma anche di tante battaglie politiche e civili. Sono passate alcune settimane e altre ne passeranno, ma la tonante eco di ciò che è accaduto continuerà a riverberare nelle discussioni di tutti i giorni, nei talk show, nei proclami presidenziali e nelle maratone televisive dedicate ora alle vittime ora agli eroi. Il clima di guerra investe chiunque e ne condiziona la quotidianità, i sogni, il futuro. Non sappiamo se gli USA scateneranno uno scontro simile a quello dell’Iraq o del Vietnam, oppure se questo sarà un conflitto diverso dagli altri e mai visto in precedenza, né quale sarà il grado di coinvolgimento bellico del nostro Paese. Si ignora chi vincerà e quali saranno le conseguenze: un mondo dominato dalla libertà duratura o un pianeta in cui non si potrà più mangiare maiale?
Certo è che rimane pochissimo spazio per affrontare altri problemi che non siano strettamente connessi alla guerra e alle sue ricadute sul sistema economico occidentale, sulle borse, sulla tenuta dell’Euro o della banconota verde, sul prezzo del greggio.
Avete notato, per esempio, come i fatti di New York, e tutto ciò che ne è scaturito, abbiano ammutolito il confronto – frontale, violento talvolta idiota e superficiale, ma vivo – sulla globalizzazione? Ci sarebbe piaciuto dire la nostra, facendo magari stizzire qualcuno, affermando come non siamo affatto contrari – anzi – alla globalizzazione se questo significa che anche per le persone più deboli possono accedere ai benefici del progresso medico e tecnologico, culturale indipendentemente dalla latitudine della loro abitazione. E non ci sembra che tutto il demonio risieda da Mc Donald, anche se non vi si mangia un granché bene, come non ci pare che la diffusione dell’economia globale abbia prodotto solo lacerazioni. Ma sono proprio quelle lacerazioni ad essere alla base degli attuali conflitti: fanatismo ed integralismo allignano proprio laddove c’è più miseria ed ignoranza.
Oggi sembra che non vi sia più spazio per occuparsi delle nuove né delle antiche miserie: tutte le energie, come si è detto, sono profuse in uno sforzo bellico con rari precedenti e qualsiasi operazione, se motivata con la guerra, diviene legittima e intangibile. Prendiamo ad esempio i licenziamenti lestamente operati dalle compagnie aeree: in meno di una settimana si è colta l’occasione della crisi per licenziare qualche decina di migliaia di persone senza che nessuno avesse nulla da ridire: la guerra è la guerra!
Figuriamoci quale attenzione possono incontrare i temi della disabilità, dell’emarginazione, della povertà. Chi li tirasse in ballo verrebbe probabilmente tacciato di irresponsabilità e richiamato al senso di priorità: prima la sicurezza internazionale e poi i diritti civili; prima la difesa e poi il benessere. Sarà molto difficile combattere contro questo clima, soprattutto se lo scontro investirà direttamente anche l’Italia (e qualcuno non aspetta altro).
Lo vedremo già nella prossima Finanziaria che il Governo ha anticipato proprio in questi giorni. Nemmeno noi ci sentiamo di biasimare le maggiori risorse destinate alla difesa e alla sicurezza interna, ma non ci pare che, quanto al resto, questa manovra si discosti molto da quelle cui ci aveva abituato il centrosinistra e cioè molte chiacchiere ma poco companatico (almeno per quanto riguarda il sociale). Il Presidente del Consiglio ha già messo le mani avanti richiamando i problemi interni (i debiti lasciati dai predecessori) e quelli internazionali. E come nel passato, ci pensano le veline, prontamente riprese da una stampa spesso benevola, a far apparire come riforme epocali o come ghiotti benefici, disposizioni solo timidamente positive.
Tutto l’impianto dei benefici alle famiglie, tanto per guardare alle novità più enfatizzate, si basa su una logica tanto radicata quanto subdola. Proviamo a srotolare il sillogismo: le agevolazioni si possono ottenere al momento della denuncia dei redditi. Le agevolazioni spettano a chi produce reddito. Chi non produce reddito non ha diritto a nessuna agevolazione. Chi non produce reddito vive spesso sotto la soglia della povertà. Chi vive sotto la soglia della povertà non può accedere a queste agevolazioni. Ovviamente il Governo e la maggior parte della stampa vi riportano solo la prima notizia. Allo stesso modo raramente qualcuno vi informerà che la detrazione delle spese mediche, delle spese per l’auto adattata o per i medicinali potete ottenerla solo se presentate la denuncia dei redditi, ma se non avete redditi da denunciare o se il vostro reddito è troppo basso quelle spese rimarranno irrimediabilmente a vostro carico.
Ma vi è un’altra vicenda che nelle prossime settimane terrà banco, sempre che le questioni afgane lo permettano: la questione del milione. Già. Fra gli impegni previsti nel contratto del Cavaliere con gli Italiani vi è anche quello di portare le pensioni minime almeno ad un milione di lire. Procederemo per passi, ha detto Berlusconi. Per il 2002 questo aumento interesserà solo gli anziani con più di 70 anni e con un reddito complessivo annuo (qualsiasi tipo di reddito), non superiore ai 13 milioni di lire. Un po’ raccogliticcia come platea quella dei destinatari. E dopo? L’aumento interesserà anche le persone disabili? Un invalido civile totale percepisce provvidenze al massimo per un milione e duecentomila lire al mese, ma quali sono le sue necessità? I suoi bisogni? E quale sovraccarico assistenziale debbono sobbarcarsi i suoi familiari?
Parole al vento le nostre, almeno per ora. Già sentiamo le critiche, sibilanti ma diffuse: la vostra è una posizione di retroguardia, è una visione settaria, una rivendicazione fuori tempo e fuori contesto!
Sono almeno vent’anni (più in là nostra memoria non arriva) che le richieste dei più deboli hanno qualche motivo per essere considerate fuori luogo a causa di qualche ostacolo o congiuntura internazionale. Vi ricordate quando l’Italia doveva a tutti i costi entrare nell’Euro? Ve lo ricordate come ci hanno convinti a stringere la cinghia? I vantaggi sarebbero stati per tutti. Non tutte le cinghie però sono uguali. Alcune hanno più buchi, altre meno, altre non ne hanno più. Però quello dell’Euro era, a detta di qualcuno che ora è ai vertici della Comunità, l’obiettivo più alto e nobile che l’Italia potesse rincorrere. Dal marzo 2002 potrete spendere la vostra pensione, corrisposta in Euro, in tutti i Paesi della Comunità, senza dover cambiare le banconote: e questo è il maggiore vantaggio che avrete ricavato dalle manovre finanziarie del ’96 e ’97.
Ora invece è in gioco qualcosa di ancora più elevato di una banale moneta: la libertà! Una libertà duratura sulla quale l’Occidente ha depositato il brevetto. Non potete uscire di casa perché il vostro condominio è privo di ascensore, non potete mandare vostro figlio a scuola perché il comune non assicura i trasporti, non potete entrare al cinema, al museo, all’università perché le vostre gambe non vanno d’accordo con i gradini, sbattete contro pali, impalcature e auto parcheggiate sui marciapiedi perché siete ciechi… ma avete la libertà di dire tutto quello che vi pare. Difendiamo allora la nostra libertà e la nostra cultura superiore. (Carlo Giacobini)