Carmine e Mario Russo occupano simbolicamente la sede del comune di Casalnuovo, nell’entroterra partenopeo, e avviano uno sciopero della fame. Carmine e Mario Russo sono affetti da una severa forma di amiotrofia che li costringe, assieme alla sorella Carmela, su una sedia a rotelle.
C’è una ragione della pacifica, ma disperata, protesta: chiedono assistenza, quel servizio di cui hanno vitale e continua necessità. Alla fine riescono a strappare 4 ore di assistenza giornaliera: 28 ore settimanali.
La notizia finisce nelle pagine interne dei quotidiani partenopei. È un fatto di cronaca locale, appunto, che sembra, al lettore ignaro, un fatto isolato, un episodio di ordinaria marginalità, un evento minore da archiviare in fretta senza porsi troppe domande, senza ardire similitudini con casi analoghi, o riducendolo ad una delle inesauribili emergenze napoletane e meridionali. Purtroppo non è così: i Russo sono tutt’altro che un caso isolato. Tutt’altro che un fatto locale o eccezionale.
Il problema della non autosufficienza, della stringente necessità di assistenza permanente che deriva da gravi forme di disabilità, lo abbiamo già ripetutamente evidenziato su queste colonne, è un’emergenza che non può più essere ignorata. Stiamo parlando, se non fosse chiaro, di persone, giovani o anziane, che non solo non sono in grado di svolgere autonomamente alcuna attività, ma che per sopravvivere hanno bisogno degli altri.
Persone che per vestirsi, mangiare, scendere dal letto (quando sono in condizione di farlo), andare al bagno, lavarsi, girare la pagina di un libro o cambiare canale, hanno bisogno, sempre, di qualcuno.
Queste situazioni trovano risposta quasi esclusivamente, e su questo c’è un’ampia disarmante concordanza, nella rete familiare e del volontariato, con tutti i risvolti negativi, defatiganti, aleatori, temporanei e instabili che questo comporta.
È un’emergenza che accomuna tutto il territorio nazionale e di fronte alla quale gli enti locali, cioè chi è a contatto diretto con i cittadini, si trovano per lo più sprovvisti di strumenti finanziari, organizzativi, di servizi.
“Mancano i soldi!” è sconsolata risposta. Ma le scelte finanziarie discendono sempre da una volontà politica che deriva a sua volta dal consenso che le norme, le decisioni, gli indirizzi riescono a creare, alimentare, conservare, espandere.
Eppure i numeri non sono così limitati. Una stima prudenziale riconduce nell’alveo della totale non autosufficienza un milione di cittadini italiani. Attorno a questi ci sono i familiari, quelli impegnati quotidianamente a far fronte alle lacune lasciate, spesso loro malgrado, dai servizi sociali e se non, addirittura, sanitari. Sono numeri significativi anche sotto il profilo del consenso o dissenso politico ed elettorale che possono generare. Forse quelle persone voterebbero volentieri per quella coalizione che, unitamente ad una buona generale amministrazione, garantisse senza tentennamenti servizi qualificati e continui alla non autosufficienza.
E questo muoverebbe sviluppo, impiego, farebbe uscire dal precariato molti operatori dell’assistenza ora assolutamente incerti sul futuro del loro lavoro. Forse contribuirebbe a far uscire dalla clandestinità qualche badante (avete provato a trovare una badante veramente in regola con il permesso di soggiorno?).
Qualcuno sarà stupito, o financo scandalizzato, che si scenda a ipotizzare addirittura “voti di scambio”, anziché sottolineare che bisogni così essenziali dei cittadini debbano essere affrontati e basta, senza pensare al consenso, senza pensare a logiche elettorali.
Ma il nostro è solo un argomento in più, uno stimolo ulteriore. Nasce dalla disarmata constatazione che – passano gli anni, cambiano i governi e le coalizioni – il massimo che riusciamo ad intravedere sono timidi segnali. La Finanziaria in via di discussione prevede l’istituzione di un Fondo per non autosufficienti, alimentato per il 2007 con 50 milioni di euro. Se è reale quella consistenza numerica (1 milione di persone gravemente non autosufficienti), e se vogliamo fare i “conti della serva”, fanno 50 euro l’anno a testa. Quattro ore di assistenza.
Eppure queste considerazioni, pur drammatiche, prioritarie rispetto a qualsiasi altra politica per la disabilità e la terza età, non riescono a muovere la stessa indignazione del superbollo sui SUV, non riescono a generare dibattito risolutivo, a portare nelle piazze rumorose manifestazioni, a modificare capitoli di bilancio. Ma quando si fa fatica a respirare, ad alzare una mano, è impossibile reggere un megafono, uno striscione, urlare la propria disperazione, uscire dalla marginalità.
È un circolo vizioso: un urlo muto che non arriva ad un orecchio sordo. (Carlo Giacobini)