Renato Brunetta, il neo ministro dell’innovazione e della funzione pubblica, ha scatenato la crociata contro i fannulloni dipendenti della pubblica amministrazione che, finora impuniti, hanno preso il posto di lavoro per un luogo di villeggiatura o di soggiorno e la scrivania come il tavolino del Bar Sport. La soluzione è semplice: “Licenziamoli!”.
È fortemente motivato il ministro. Lo va ripetendo con insistenza e per dare il buon esempio ha pubblicato, nel sito internet del suo dicastero, l’elenco dei funzionari riportando il salario di ognuno e le assenze dal lavoro (mettendo in evidenza anche le “assenze” per la Legge 104/1992 riservate a chi assiste un familiare con handicap).
Come non si può essere d’accordo? Chi ruba lo stipendio va licenziato, anche nella pubblica amministrazione! E poi non è un’ipotesi reazionaria: lo aveva detto già qualche mese fa Pietro Ichino, noto giuslavorista ora eletto nelle progressiste file del Partito Democratico.
Tutti d’accordo, almeno apparentemente, con questa semplice soluzione.
C’è da sperare che non si tratti solo di demagogica vaniloquenza, artefatta per vellicare lo sperticato consenso dell’italiano medio. E che i licenziamenti, semmai ce ne saranno davvero, non si arenino nelle sabbie nebbiose di qualche TAR. In fondo ne abbiamo visti di casi di facchini accusati di essere ladri reintegrati al lavoro, di medici corrotti che tornano a operare, o di giudici concussi che rivestono la loro toga in forza di discutibili sentenze. Oppure amnistiati (estinguendo il reato) o indultati (estinguendo la pena).
Certo è che, da questa massiccia campagna mediatica, l’immagine e l’onorabilità del dipendente pubblico non ne esce bene. Partendo dai luoghi comuni e dalle esperienze negative di ognuno, si finisce per fare di ogni erba un fascio. Ecco che il caso eclatante dell’impiegato ufficialmente in malattia che balla in TV si sedimenta nell’immaginario collettivo non come l’odiosa eccezione, ma come la regola diffusa. È lo stesso semplicistico meccanismo che implacabilmente ha funzionato nella campagna con gli invalidi falsi o presunti tali.
A dire il vero sono altri i personaggi attivi nella pubblica amministrazione – e non tanto i fannulloni – a preoccuparci di più. È chi, pur lavorando, pur essendo presente, opera con superficialità, con arroganza, con inquietante superiorità, dimenticando il ruolo che alla pubblica amministrazione è affidato prima dal buon senso e poi dalla nostra Costituzione: garantire il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. E talvolta scordando che il Cittadino non è più un suddito o un numero di pratica.
Questa è la sensazione trasmessa da molti – troppi – dei nostri Lettori, soprattutto se persone disabili o loro parenti, in particolare quando riportano le loro esperienze di richiesta di ausili, di servizi o, banalmente, di riconoscimento della loro invalidità. Non sono i fannulloni il loro problema. È la lentezza, le complicazioni, i rifiuti immotivati, l’impreparazione, i muri di gomma.
Brunetta ha anche ipotizzato che la produttività nella pubblica amministrazione sia incentivata, premiata, sia la condizione per l’avanzamento in carriera.
Siamo d’accordo. Ma quali saranno i requisiti per individuare la produttività? Saranno indicatori di qualità seri e condivisi con i Cittadini oppure qualcosa di più infido?
La preoccupazione non è immotivata. Ci è capitato di rilevare che i responsabili della fornitura di ausili venissero premiati per aver ottenuto un significativo risparmio sulla spesa dimostrabile dalla lettura dei meri dati numerici dei bilanci. Ma soffiando sulla polvere si scopriva che quel risultato economico non coincideva con un servizio migliore al Cittadino e finiva per produrre altri costi.
Un esempio: se un risparmio nella spesa di prodotti antidecubito genera la necessità di interventi domiciliari sanitari per la cura delle relative piaghe, è un falso risparmio. Non si può certo premiare il responsabile della fornitura che ha risparmiato e “punire” il direttore del distretto sanitario che ha speso di più in prestazioni domiciliari.
Indicatori di qualità. Potremmo iniziare – perché no? – dagli accertamenti di invalidità e di handicap. Quali sono i tempi di attesa? Quanto il contenzioso generato? Quali i costi per le revisioni? Quali i servizi di informazione al Cittadino? Quale la soddisfazione del Cittadino/cliente? C’è poco da inventare: basta copiare dal privato. Ma questo è più impegnativo che spacciare le lacune della pubblica amministrazione come colpa dei soliti lavativi.
In un contesto di trasparenza, produttività, imparzialità, buona amministrazione, anche i fannulloni si estinguerebbero per mancanza di spazio vitale. Estinti: con buona pace di Brunetta e con qualche amarezza per la Gazzetta dello Sport, il giornale più letto nei posti di lavoro. (Carlo Giacobini)