Sfogliando svogliatamente le pagine di internet mi è capitato di imbattermi, con piacere, nella orgogliosa presentazione delle innovazioni apportate ad un vecchio ma prestigioso teatro del nordest, riportato ai fasti dei tempi andati grazie da una serie di oculate opere di ammodernamento. E fra questi interventi, ci sono anche – udite! udite! – anche quelli di eliminazione delle barriere architettoniche all’ingresso, di realizzazione dei bagni accessibili, e della creazione di appositi stalli in platea per gli spettatori su sedia ruote (leggi: “disabili”).
Trattandosi di un articolo che preveda i commenti dei lettori, una signora – pur tradendo (ingrata!) le aspettative di chi si aspettava una plaudente riconoscenza per la meravigliosa opportunità – faceva cortesemente notare che quegli interventi, visto che sono anche finanziati con pubblici quattrini, sono doverosi oltre che espressamente previsti per legge.
E con altrettanta, ormai inusuale, signorilità si addentrava, timida, nello scivoloso terreno dei suggerimenti. Faceva notare, la nostra, che i posti riservati in platea, anch’essi previsti per legge e non già da sensibile concessioni, sono relegati in zone isolate della sala, laterali ma soprattutto lontane da altre poltrone, impedendo di fatto la possibilità per l’accompagnatore della persona disabile di sedersi al suo fianco.
La polemica che ne è seguita, incentrata sul ritornello “disabili-mai-contenti”, ha fatto completamente smarrire il senso più profondo di tale riflessione che vorremmo così riassumere: oltre alle norme, bisogna rispettare anche il buon senso. Anzi, forse il buon senso è pure più importante di tante, troppe, leggi.
Spesso basta chiedere ai diretti interessati cosa pensano delle soluzioni idate per loro, per ottenere consulenze gratuite, raccogliere suggerimenti, trovare soluzioni impensate.
Ma in questo caso qual è il problema? Ad un osservatore esterno non appare alcun problema, nessun disagio. Anzi.
Il posto è garantito? Certo. È in prossimità delle uscite di sicurezza? A ridosso. È previsto l’accompagnamento fino allo stallo? Sempre. Lo stallo è in piano? In bolla. E allora che cosa volete? Un Lucano?
Sì … ma … ma … ma l’accompagnatore dove si siede? Dove trova posto, due o tre file più in là. A fianco dello stallo per la carrozzina non ci sono posti a sedere. Qual è il problema?
A chi non lo comprende bisogna spiegarlo, a parole, a gesti, in rima, in musica, confidando nell’intelligenza più che nella sensibilità.
Si può iniziare con la motivazione più emotiva: la persona disabile potrebbe voler andare a teatro con la propria fidanzata, con il proprio marito, con la propria amica. Potrebbe voler condividere un sacchetto di pop corn o scambiare una battuta sulla pessima qualità dello spettacolo. Se è disabile in carrozzina tutto questo gli è precluso da una scelta in buona fede, magari, ma presbite.
Ci si può buttare sull’assistenziale: la persona disabile può avere necessità di essere supportato per le esigenze più serie o più voluttuarie e in tal caso non può certo attirare l’attenzione di chi lo accompagna, ululando (sempre che abbia fonazione sufficiente) nel bel mezzo di un monologo shakespeariano.
Si potrebbe anche giocare la carta delle sensazioni che si vivono, del disagio e del fastidio che si provano nel sentirsi piazzati in un’area isolata ma in piena evidenza, ma trasmettere le emozioni soggettive è opera assai ardua.
Si può obiettare che un posto per l’accompagnatore viene previsto addirittura in treno, quindi è tecnicamente possibile anche in una sala da duecento posti. Si può fare.
Le ragioni possono essere le più incontrovertibili, inattaccabili, inossidabili, ma per chi le ascolta non saranno mai sufficientemente convincenti, se non c’è considerazione per chi le esprime. E questo non riguarda solo i teatri e i cinema, né solo le persone con con disabilità.
Quello che accade in quel teatro è un po’ l’archetipo di quello cui assistiamo quotidianamente in molti altri ambiti: le persone con disabilità, quando va bene, sono soggetti passivi di iniziative, servizi, procedure adottate “per il loro bene e la loro sicurezza”. Troppo raramente sono attori, clienti, utenti, consumatori, cittadini da coinvolgere per progettare al meglio le cose che li riguardano direttamente. Meglio qualche consulente dal bel nome ben pagato. (Carlo Giacobini)