Sono mesi, forse anni, che ascoltiamo il ritornello del sostegno alle famiglie. Bisogna sostenerle! Convegni, forum, iniziative … istituzionali e non. È un ciclico refrain che diventa più acuto ed altisonante nei momenti di maggiore crisi economica e più forte contrasto politico.
Quindi, quello attuale, è il momento più fecondo. La pesante crisi economica planetaria è tutt’altro che passata e la conflittualità politica (sarebbe meglio dire partitica) è alle stelle.
Ecco allora che dimostrare, almeno con le parole e con gli slogan, un interesse per i problemi del Paese reale, è strategicamente essenziale per chi ci governa oggi o ha l’ambizione di farlo domani.
E gli slogan, si sa, devono essere semplici, immediati, favorire l’identificazione di tutti i potenziali elettori. Non si devono anteporre distinguo né insinuare dubbi, pena la perdita di attenzione prima e credibilità poi.
Ma le palpabili emergenze delle persone non sono, al contrario, comprimibili in efficaci frasette pubblicitarie. E la loro risoluzione non è un prodotto da vendere.
Sostegno alle famiglie, dicevamo. Ma cos’è la famiglia in una società sempre più complessa? È il quartetto classico composto da padre-madre e due figli? È solo quella? Le coppie senza figli sono una famiglia? E le coppie di anziani, soli, sono una famiglia? Le coppie di fatto sono una famiglia? È una famiglia solo quel nucleo che vive sotto lo stesso tetto? E i single?
Già questi interrogativi, che sono meramente di metodo, pongono altrettante scelte politiche, etiche, economiche, tributarie, assistenziali.
Sembra che certa “politica”, si accontenti di esprimere un interessato interesse, senza precisare come, chi e in che modo aiuterà quella non ben definita famiglia.
Un dato è certo, e non lo diciamo noi ma l’ISTAT: le famiglie che vivono sotto la soglia della povertà, nella nostre bella Italia, sono circa 2 milioni e 700mila. Ed il processo di impoverimento sembra inarrestabile e foriero di esclusione, discriminazione, disparità territoriale e generazionale.
Il fenomeno colpisce le famiglie tradizionali, quelle allargate, quelle “anomale”, ma si abbatte pesantemente anche sui “single” che ci rifiutiamo di liquidare come “farfalloni di età indefinita che non vogliono assumersi le responsabilità di formare una famiglia vera e solida.” I single sono in netto aumento anche nel nostro Paese e sentono le difficoltà economiche spesso di più dei nuclei familiari allargati.
Fra i single, non dimentichiamolo, ci sono anche moltissimi anziani – soli! – che da alcune fantasiose politiche per la famiglia non otterrebbero, ancora, nulla.
Crediamo che più che alla composizione quantitativa e qualitativa del nucleo familiare, sarebbe più corretto riferirsi ai bisogni delle persone, alle necessità stringenti e spesso asfissianti, ai costi di accesso ai servizi essenziali. Con un occhio di particolare riguardo a chi non ha reddito.
Fra gli slogan di questi mesi, circola la salvifica ipotesi del quoziente familiare, meccanismo che suona bene e che accattiva simpatie riempiendo bocche bipartisan.
Ma ancora una volta, come se si dovesse vendere una lavatrice, alle persone non si spiegano i pro e contro e le decisioni che bisogna assumere. E già: non si spiega perchè altrimenti potrebbero anche non essere d’accordo o mettere in dubbio la “soluzione” trovata per loro.
Il quoziente familiare viene velocemente liquidato come una modalità per far pagare meno tasse alle famiglie in base alla loro composizione.
In realtà è qualcosa di molto complesso e delicato e impone un radicale cambiamento del sistema tributario italiano, basato oggi rigidamente sul reddito individuale e sulla progressività dell’imposta (si dovrebbero pagare più che proporzionalmente più imposte man mano che il reddito individuale sale).
Il nostro sistema di prelievo fiscale poi ha un sistema di deduzioni e detrazioni di alcune spese (fra le quali quelle sanitarie e di assistenza specifica) che, nelle intenzioni del Legislatore, dovrebbero compensare alcuni oneri e tassare solo il reddito effettivamente rimasto a disposizione del contribuente. Altre detrazioni sono previste forfettariamente per i familiari a carico (non tutti).
Ragionare in termini di “quoziente familiare” significa innanzitutto non riferirsi più al reddito individuale ma a quello del nucleo di riferimento. È un sistema adottato in Francia da alcuni anni con una complessa serie di aggiustamenti e correttivi.
Ad esempio, sarà interessante capire come verrà risolta in Italia la questione delle coppie di fatto: visto che non ne sono riconosciuti gli effetti e diritti civili, come si potrà gravarli di un diverso sistema di prelievo fiscale?
Inoltre, come affermano alcuni studi di altissimo profilo, i benefici significativi sono per i nuclei molto numerosi e mediamente con redditi medio-alti. A meno che … a meno, come in Francia, non venga prevista una articolata architettura di deduzioni e detrazioni.
Non ci dilunghiamo oltre: nostra intenzione è solo far comprendere che non è tutto oro quello che luccica.
Ma non solo. Il quoziente familiare riguarda le imposte, il reddito prodotto, gli introiti delle famiglie. Non riguarda l’accesso ai servizi e il loro costo. Non riguarda né incide realmente sulla povertà e sull’indigenza.
Il perchè è semplice: moltissime famiglie, tanti single, innumerevoli coppie di anziani non hanno nemmeno introiti per presentare la denuncia dei redditi e per far valere quozienti o deduzioni varie. Sono i cosiddetti incapienti.
L’impoverimento, crediamo, e la conseguente emarginazione, non possono essere risolti con una mera, per quanto imponente, riforma fiscale (per la quale non sembra nemmeno esserci il clima di condivisione necessaria). Impoverimento non è solo materiale: è anche e soprattutto esclusione sociale su cui agire con politiche mirate, struttate complessive.
Ma al momento sono necessari interventi – emergenziali ormai, giacché per politiche strutturali vi è sempre meno spazio – di aiuto economico che abbiano una ricaduta immediata sui cittadini più deboli.
Il resto è, tristemente, propaganda di cui vorremmo fare a meno. (Carlo Giacobini)