Dopo sette ore di conclave i nostri maggiorenti hanno partorito quattro o cinque idee, che chissà come andranno a finire, su cui ora devono elaborare un testo tecnicamente presentabile sotto forma di emendamento.
Nel comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, diramato dopo la seduta fiume con Calderoli, Bossi & co. leggiamo una frasetta scritta per attrarre simpatie e non generare troppe domande: “sostituzione del contributo di solidarietà con nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’abuso di intestazioni e interposizioni patrimoniali elusive.”
L’affermazione è stata sinteticamente liquidata dagli analisti come contrasto alle società di comodo e, quindi, ha sedato un po’ la sete di contrasto all’evasione esplosa in Italia nelle ultime settimane. Inoltre, usando termini non proprio di senso comune, la gente comune – fortunatamente per i nostri Governanti – non capisce.
Interposizione patrimoniale … quando l’ho letto, per deformazione, mi è venuto da pensare male: “vuoi vedere travolgono anche il trust?”
Il trust mi interessa perchè è un istituto che può essere molto utile per il “dopo di noi”, cioè quelle misure, civilistiche e finanziarie, che si possono assumere per tutelare i propri figli con grave disabilità.
È vero che l’ordinamento vigente propone altri istituti consolidati per garantire, in modo diversificato, il soggetto più debole (es. appunto il familiare con disabilità).
Si può stabilire anzitempo, con atti formali, soluzioni come contratti di rendita, oneri testamentari (articolo 647 del Codice Civile) o donazioni modali (articolo 793 del Codice Civile) ossia, in estrema sintesi, fissare condizioni – favorevoli al familiare con disabilità – che terze persone dovranno garantire se vorranno godere di una successione o di una donazione.
L’altra figura è quella della sostituzione fedecommissaria, prevista dall’articolo 692 del Codice Civile. Essa è tuttavia ammessa solo se il beneficiario sia interdetto o sia un minore che si trovi in stato di abituale infermità di mente (in tal caso il procedimento d’interdizione dovrà essere promosso entro due anni dalla maggiore età).
Oltre a questi istituti c’è, appunto, il trust, istituto di origine anglosassone entrato nella nostra normativa relativamente di recente.
Ne dà la definizione la Convenzione dell’Aia del 1 luglio 1985 (ratificata con Legge 16 ottobre 1989, n. 364). iI trust è “un rapporto giuridico istituito da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico”.
Il “disponente” (o “costituente”) è la persona che possiede beni immobili o mobili e stabilisce di cederne una parte a favore di familiari, o fondazioni, o associazioni, o persone anche non parenti. Questi soggetti sono i “beneficiari”.
Il “trust” è l’assieme di regole e risorse (trust fund) definite in uno specifico documento formale. Nel trust il disponente trasferisce ad un altro soggetto (il trustee) la titolarità di uno o più diritti (su beni immobili o mobili), conferendogli l’incarico di usarli a vantaggio del beneficiario o per il perseguimento di uno scopo.
Il “trustee”, in virtù del trust, diventa dunque il proprietario dei beni, ma senza che questi entrino a far parte del suo patrimonio personale (eccolo il vantaggio fiscale) e con un diritto limitato: egli potrà usarli solo nel rispetto delle prescrizioni contenute nel trust, per attuarne le finalità.
Il “guardiano del trust” (protector) è un altro soggetto cui è affidato dal trust il diritto e il dovere di vigilare sul corretto uso e finalizzazione dei beni da parte del trustee. È quanto mai opportuno che sia una persona affidabile, preparata e senza interessi diretti (personali o professionali) nella gestione del trust. Si può indicare come “guardiano” anche il responsabile di un’associazione, di una fondazione o un professionista di stretta fiducia. I suoi poteri sono indicati dal disponente nel documento che stabilisce il trust ed è opportuno che siano ampi, ben specificati soprattutto per quanto riguarda i poteri di revoca del trustee.
È vero che il ricorso all’istituto del trust, in Italia, è prevalentemente legato ad intenti diversi dalla protezione del soggetto debole: la conservazione del patrimonio familiare, le agevolazioni tributarie, la protezione dei beni da rivalse di varia origine, la conservazione di un’impresa familiare e così via.
Eppure, proprio nel caso di soggetti quali minori, disabili, svantaggiati, lo strumento può rivelarsi particolarmente utile, in quanto come si è detto permette al disponente di cedere una parte dei propri beni, vincolandoli e proteggendoli rispetto a pretese di terzi (incluso il pignoramento), e affidandoli a un soggetto terzo (trustee), eventualmente sotto il controllo di un altro soggetto (“guardiano del trust”), affinché li amministri al meglio per raggiungere, appunto, lo scopo di assistere il soggetto debole.
Permette altresì di stabilire preventivamente (ossia all’atto della costituzione del trust) la destinazione finale dei beni una volta raggiunto lo scopo, ovvero di indicare i cosiddetti beneficiari finali del trust.
Da alcuni anni riteniamo che il trust possa essere uno degli strumenti aggiuntivi per i genitori che vogliano (e possano) tutelare i propri figli nel momento in cui non ci saranno più.
Il rischio che temevo, una volta letto quel passaggio, è che questo strumento venisse travolto dalla fiumana indistinta che travolge giustamente le società di comodo, ma assieme restringe una possibilità, da parte delle famiglie, di tutela dei più deboli.
Questa mattina ho avuto conferma dei miei timori leggendo una dichiarazione di Calderoli: “È finita la pacchia per chi utilizza società di comodo o trust per non pagare le tasse. la prima volta che qualcuno prova a far fuori le società di comodo”. (Carlo Giacobini)