La situazione sarebbe anche comica se non ci fossero di mezzo le sorti del nostro Paese. In luglio approvano una manovra in cinque giorni, ma è talmente sgangherata che viene spernacchiata dai mercati. Ne serve un’altra e in fretta. Il Cavaliere nega, ma poi si presenta alle Camere annunciando nuove misure.
A Ferragosto viene presentata la seconda manovra che viene approvata, ricordiamocelo, all’unanimità dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Ma non piace a nessuno, non solo a molti parlamentari della maggioranza, ma nemmeno ai ministri e neanche al premier. A chi non piace la tassa di solidarietà, a chi non piace la soppressione dei piccoli comuni e di alcune province, a chi non piace il taglio aggiuntivo alle regioni e agli enti locali. Chi vorrebbe e propone dell’altro. Chi pone veti di valenza politica.
E a questo si aggiungono le critiche di opposizione, Sindacati, Confcommercio, Confindunstria … oltre alle censure della Ragioneria dello Stato e di Bankitalia.
Non c’è ora che non ci sia una marcia indietro, una novità, una riproposizione, in una rocambolesca arrampicata sugli specchi da dilettanti allo sbaraglio.
Nel pomeriggio del 29 agosto un manipolo di cervelli si ritrova ad Arcore per “trovare la quadra”, odioso termine regionalistico imposto dalla Lega in questo ultimo scorcio d’estate. Del brain trust fanno parte i migliori uomini della maggioranza: Alfano, Cicchitto, Gasparri, Calderoli, Maroni, Tremonti, Bossi oltre al padrone (non solo di casa), Berlusconi.
E dopo 7 ore di confronto ne escono 5 ipotesi per modificare e “rendere più equa la manovra”, tenendo i “saldi invariati”.
Le diamo per note: cancellazione delle province e dimezzamento dei parlamentari con legge costituzionale (fra un paio di anni); no al taglio dei piccoli comuni, ma accorpamento delle funzioni fondamentali; riduzione del taglio agli enti locali concedendo ai comuni responsabilità e ricavi nella lotta all’evasione; sospensione della fruibilità degli anni di laurea e di militare, già riscattati, ai fini del raggiungimento dell’età pensionabile; contrasto all’elusione delle società di comodo e delle interposizioni patrimoniali.
Non si tocca l’IVA e non c’è più la tassa di solidarietà.
I nostri ce l’hanno fatta … sembrerebbe! Ma la compiaciuta soddisfazione delle fila della maggioranza e del Governo dura solo poche ore.
Prima botta: i conti non tornano! Mancano almeno 5 miliardi: che si fa? Poco male! Si aumenta di un punto l’IVA (quella al 20%) poco importa se – proprio oggi – ISTAT ci dice che a luglio 2011 l’inflazione è schizzata al 2,8%, massimo storico dal 2008.
Seconda botta: mezza Italia si ribella all’ipotesi di bastonare chi ha già riscattato di tasca propria i contributi per laurea e naia. Ci si accorge dei profili di illegittimità costituzionale e dei rischi di una maxi class action. Ed è di poco fa, l’ennesima marcia indietro: quella balzana ipotesi si sgretola dopo l’incontro fra Sacconi e Calderoli. E adesso ri-mancano 1,8 miliardi all’appello.
Che si fa? Poco male! Reintroduciamo la tassa di solidarietà.
Ma la giornata non è ancora finita e, prima di notte, ai dilettanti allo sbaraglio verrà senza dubbio qualche altra idea. Insomma, tutto cambia e si ricambia.
Solo un punto rimane silenziosamente, ma pericolosamente, intangibile. Anzi, proprio a causa di questi giochetti diventa sempre più grave e greve.
È cosa nota che sull’intera manovra 20 miliardi vanno presi con la riforma fiscale e assistenziale; nota, ma non del tutto vera.
La manovra di luglio prevedeva di recuperare 4 miliardi nel 2013 e 20 nel 2014. La manovra bis ha anticipato le date rispettivamente al 2012 e al 2013. Questo è quanto circola in maniera consolidata. Ma se andiamo a leggere meglio il combinato disposto, non possiamo non osservare, innanzitutto, che nel 2014 rimangono da recuperare altri 20 miliardi. Carta e penna, somma 40 miliardi in tre anni. Dio che botta!
Avete metabolizzato? Pronti?
Nel 2015, 16, 17 … altri 20 miliardi per tutti gli anni a venire. Dal fisco – e può avere una logica – e dall’assistenza!
Cioè a dire: per ognuno degli anni a venire, si dovranno continuare a “risparmiare” dalle prestazioni assistenziali un pacco di miliardi rispetto a quelli che si spenderebbero con il sistema attuale che già offre ben poche tutele e servizi.
Bene! Tutto questo nei caroselli di questi giorni rimane, come detto, intangibile e non preoccupa più di tanto le persone perchè appare lontano, diluito nel tempo e confuso in una efficace sarabanda.
Ma mi rendo conto di non averla, forse per pudore, ancora raccontata tutta. In effetti c’è un altro particolare.
A ferragosto Tremonti e co. si sono evidentemente resi conto della botta spaventosa della futura riforma assistenziale e fiscale sulle tasche degli italiani ed hanno pensato bene, per non farsi massacrare dalle urne, di mettere da parte un “tesoretto” per ridurre almeno in parte (e io dico, almeno fino alle votazioni) l’impatto della riforma. Il Governo si è riservato la possibilità di intervenire – in futuro – sulla “rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette”. Cioè l’aumento dell’IVA.
Ora l’aumento dell’IVA gli serve per compensare dell’altro e quindi la “botta” arriverà in tutta la sua devastante potenza di 40 miliardi in tre anni.
Ma poi basteranno 40 miliardi? Se si continua a mettere e poi togliere misure che possano infastidire questo o quel potere forte, il Governo dovrà aumentare il prelievo previsto su fisco e assistenza. Scommettiamo?
Chi si illude che la riforma fiscale e assistenziale possa essere oggetto di confronto-scontro in un domani più o meno prossimo, quando la legge delega verrà discussa in Parlamento, non ha compreso di come funzioni questa partita.
Domani si potrà discutere, forse, su dove tagliare di più e dove di meno, ma è oggi che si stabilisce chi mungere e quanto deve produrre: 40 miliardi in tre anni.
E la mungitura è dalle tasche delle famiglie, dai servizi alle persone, ai bambini, agli anziani, ai disabili, ai non autosufficienti. (Carlo Giacobini)