Stamattina chiacchieravo amabilmente con una giovane amica che ha colto l’occasione per chiedermi una dritta sulla raggiungibilità dell’Ufficio del lavoro della nostra provincia.
Sono rimasto tristemente sorpreso nell’apprendere che ha ricevuto la lettera di licenziamento dalla sua azienda che non credo navigasse in cattive acque.
Un’amarezza compensata dalla serenità della ragazza: mai vista una persona che sta per iscriversi alle liste di disoccupazione così tranquilla.
Mentre stavo per liquidare la questione come “incoscienza giovanile”, si è affrettata a spiegarmi l’arcano. “È solo un pro-forma. Poi mi riassumono”
Il meccanismo funziona così. L’azienda ufficialmente chiude. La società che la gestisce cambia assetto, nome e (formalmente) nome dei soci. Si licenziano tutti i dipendenti e (forse) gli si liquida il TFR. I dipendenti si iscrivono alle liste di disoccupazione.
La nuova società li (ri)assume. Assumendo dei disoccupati, o persone in mobilità, ha diritto a fortissime riduzioni dei contributi fino a due anni. I contributi li paga lo Stato.
Il lavoratore non ci smena e non ci guadagna nulla. L’azienda risparmia fino al 40% (abbondante in alcuni casi) sul costo del personale. E la “ristrutturazione” la paghiamo noi.
Questo non significa contrastare la disoccupazione, combattere il precariato, favorire l’elasticità. Questo ha un solo nome: frode legalizzata a favore di pochi.
Ignoro quanto sia diffuso il fenomeno. Io posso anche ignorarlo, ma chi parla di mercato del lavoro riempiendosi la bocca ministeriale di proclami, dovrebbe saperlo. (Carlo Giacobini)