(testo integrale del mio intervento a Palazzo Chigi, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, comprensivo di ciò che non sono riuscito a dire per ragioni di tempo)
La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con una specifica norma, impone una profonda revisione della normativa e una riorganizzazione dei servizi e delle politiche a partire dalla stessa definizione di “persona con disabilità”.
È un’istanza recepita dal Programma di azione biennale per la disabilità emanato con DPR già nel 2013.
Non è sufficiente modificare il linguaggio (handicap con disabilità), ma è piuttosto indispensabile ricondurre la valutazione della disabilità (persona, interazione, ambiente) alle finalità della Convenzione: l’individuazione della disabilità è funzionale alla promozione dei diritti umani, all’inclusione, alla modificazione dell’ambiente, al contrasto alla discriminazione, all’impoverimento, alla segregazione.
E qui avrei finito la mia relazione.
Le persone con disabilità – molto più degli “addetti ai lavori” – hanno crescente consapevolezza di cosa significhi essere “accertati”.
Ma è altrettanto chiaro agli “addetti ai lavori” quale sia il costo economico, l’impatto organizzativo, le ricadute effettive di quello che possiamo – un po’ pomposamente – chiamare “sistema di accertamento”?
Disabile, invalido, handicappato, handicappato grave e/o gravissimo, non autosufficiente, gravemente non autosufficiente, persona con ridotte o impedite capacità motorie, persona con grave limitazione alla capacità di deambulazione, oligofrenico, irregolare psichico, persona a responsività limitata … potrei proseguire con il florilegio di definizioni tutte presenti, vigenti e cogenti in una normativa che baldanzosamente consideriamo la più avanzata del mondo ma che ben poco risponde ai crismi della buona regolazione.
Dietro la terminologia e il linguaggio, assai poco coerenti nel tempo e nei contesti, c’è sempre un beneficio, una provvidenza, un’agevolazione, l’accesso ad un servizio che per essere ottenuti richiedono uno “status”, uno specifico iter, un accertamento e un “soggetto preposto”, che solitamente è un medico o una commissione prevalentemente sanitaria.
Inoltre, per l’accesso al sistema di servizi e prestazioni, in Italia, non è quasi mai sufficiente la verbalizzazione di uno “stato invalidante”, ma sono richiesti anche altri requisiti: ora di età, ora di limiti reddituali, ora di altro tipo soggettivo o materiale.
All’accertamento sanitario si aggiunge, quindi, anche quello più schiettamente amministrativo.
Esiste in Italia una proliferazione di momenti accertativi derivante proprio da questa frastagliata regolazione che ben poco ha a che vedere con i diritti umani e sociali.
Ma quanto ci costa tutto ciò? E: ha ancora senso?
Una persona con una minorazione – fisica, sensoriale o intellettiva che sia – che intenda ottenere lo status di invalido o persona con handicap (legge 104/1992) viene sottoposta a visita presso una Commissione.
Questa commissione ASL è composta da 5 medici (uno INPS). Integrata con un operatore sociale e uno specialista nel caso si debba valutare l’handicap. Totale 7 operatori.
Nella quasi totalità delle Regioni i medici – prevalentemente in servizio nel SSN – percepiscono un gettone. In pochissime altre realtà l’attività fa parte della normate attività di servizio.
Una volta conclusa la visita il verbale di invalidità o di handicap viene trasmesso all’INPS dove un’altra commissione (altri 6 operatori) effettuano la verifica agli atti e se del caso convocano nuovamente la persona.
Questo iter comporta ovviamente il coinvolgimento dei servizi amministrativi di ASL e di INPS. Una stima molto prudenziale del costo di ciascuna visita è di 250 euro.
Sembra poco ma vediamo le consistenze globali.
In Italia è stimata la presenza di 250.000 persone con malattia di Parkison. A causa delle specificità della patologia queste persone, nell’arco della loro vita, vengono “accertate” mediamente 4 volte (peraltro con modalità valutative assai disomogenee). Totale 1 milione di visite. 250 milioni di euro per i soli parkinsoniani.
Passiamo ai dati reali e testimoniati. L’ultimo Bilancio sociale di INPS ha registrato nel 2013 circa 1.350.000 domande di accertamento (ciascuna domanda spesso contiene richieste per diversi benefici). Significa altrettante visite. Costo stimato per il sistema: 337,5 milioni di euro annui variamente distribuiti fra Stato, INPS e Regioni. Sono esclusi dal conteggio i costi a carico del cittadino e gli oneri amministrativi che subisce.
Dal 2011 l’intero sistema è informatizzato e telematizzato grazie al supporto tecnico di INPS. In realtà ciò – per espressa affermazione della Corte dei Conti (determina 101/2013) – non ha prodotto grandi benefici per il cittadino.
Nel 2011 fra la presentazione della domanda di accertamento e l’erogazione delle provvidenze economiche trascorrevano in media di 278 giorni per l’invalidità civile, 325 giorni per la cecità civile e 344 giorni per la sordità (Fonte: Corte dei Conti, Determinazione 91/2012, pagina 66).
Nel 2012 (ultimo dato utile) i tempi si sono ulteriormente dilazionati: 299 giorni per l’invalidità, 338 per la cecità, 399 giorni per la sordità (Fonte: Corte dei Conti, Determinazione 101/2013, pagina 59).
Siccome le prestazioni ricorrono dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda, dopo 120 giorni iniziano “a correre” pure gli interessi passivi. Nel 2012 INPS ha pagato interessi passivi per 64,3 milioni di euro. Il 66,3% di quella cifra riguarda le provvidenze agli invalidi civili pagate in ritardo: 42,6 milioni annui (Fonte: Corte dei Conti, Determinazione 101/2013, pagina 54).
Non è tutto. Il sistema tabellare adottato per soppesare l’invalidità e l’incertezza valutativa attorno ai concetti di “atti quotidiani della vita” e di “handicap con connotazione di gravità” producono un contenzioso di mole enorme.
Due dati dalla Corte dei Conti: nel 2012 c’erano 283.823 cause civili giacenti. Nel corso dello stesso anno sono state avviate 110.583 azioni civili (Fonte: Corte dei Conti, Determinazione 101/2013, pagina 82). Cause che INPS perde quasi nella metà dei casi.
In ogni causa o in ogni accertamento tecnico preventivo sono coinvolti: il legale del cittadino, il legale dell’INPS, i due periti di parte, il consulente tecnico di ufficio del tribunale. Una stima prudenziale media dei costi di ciascuna azione, senza considerare l’impegno del giudice e del tribunale, è di 1.500.
Riferendosi alle sole nuove azioni presentate nel 2012 la stima del “giro di affari” è di 165.9 milioni di euro annui.
Tutte queste riflessioni riguardano ovviamente il regime normale del sistema, cioè gli accertamenti ordinari. Non quelli di verifica straordinaria affidati a INPS con la gigantesca campagna di controllo sui “falsi invalidi”, azione che ha prodotto più stigma e spesa che risultati concreti. Oggi lo sappiamo grazie e specifiche interrogazioni parlamentari.
Dal 2009 al 2013 sono state effettuate dall’INPS 854.192 verifiche straordinarie. Sono state revocate, per mancata conferma dei requisiti sanitari o assenza a visita medico legale, 67.225 provvidenze. Il che corrisponde al 7,9 per cento delle verifiche al lordo di quanto sarebbe comunque avvenuto per via ordinaria (INPS ha incluso nelle verifiche persone per le quali comunque era prevista una revisione).
Quanto stima di aver ricavato l’INPS da questa gigantesca operazione di controllo?
Lo dice la risposta all’interrogazione: 352,7 milioni di euro. Lordi, molto lordi.
Infatti, per affrontare questa straordinaria mole di lavoro l’INPS è dovuto ricorrere anche a medici esterni: la spesa dichiarata dal 2009 al 2012 è di 101,2 milioni di euro.
Il risparmio è quindi di 251,4 milioni. Ancora lordi, ma che rappresentano un risparmio dell’1,51 per cento della spesa annua per le provvidenze agli invalidi civili (16,6 miliardi secondo il bilancio sociale INPS, un miliardo e mezzo in meno secondo l’ISTAT).
Da questo “bottino”, vanno poi detratte le spese per il personale interno (che INPS non dichiara): altri medici, dirigenti, softwaristi, impiegati amministrativi, spese di struttura, spese di spedizione di 850.000 comunicazioni. Stima prudenziale: altri 70 milioni.
Il risparmio scende a 181,4 milioni.
Non è finita. Come correttamente ricorda la risposta in un’interrogazione in Commissione Affari Sociali, il risparmio va inteso al lordo del contenzioso. Tradotto: chi si vede revocare la pensione o l’indennità fa ricorso. Nel 45% dei casi l’INPS soccombe in giudizio ed è obbligato a restituire, con gli interessi, il “maltolto” pagandoci pure le spese legali.
Molto prudenzialmente è da ritenere che l’INPS (che oltretutto si serve in larga misura di legali esterni, come “lagnato” dalla Corte dei Conti) perda in questa operazione almeno altri 70 milioni.
Il risparmio scende a 111,4 milioni (non annui, ma complessivi dell’intera campagna). Questa cifra ridicola rappresenta lo 0,67 per cento della spesa annuale per pensioni e indennità.
Ricordo lo stigma di un paio di anni fa: un invalido su quattro è falso.
Come si vede l’intero sistema – quello ordinario e quello straordinario – è estremamente costoso per lo Stato, per l’INPS e per le Regioni. Lo è anche per il cittadino, ovviamente.
C’è qualcosa che non va in termini di efficacia ed efficienza nel sistema.
Dagli ultimi dati ISTAT disponibili sull’invalidità civile risulta che almeno il 58% degli invalidi civili ha più di 65 anni. Almeno il 41% ne ha più di 80.
Ragioniamo su quest’ultima cifra. Ci stiamo riferendo – con tutta probabilità – a persone con affezioni tipiche della terza età, con esigenze e peculiarità specifiche ma abbastanza agevolmente definibili.
Ha senso che la loro valutazione rientri nel circuito ordinario?
7 medici in Commissione ASL, 6 in Commissione INPS che giungono alla conclusione che esistono o meno i presupposti per la concessione dell’indennità di accompagnamento?
Non ha senso ipotizzare un percorso più rapido, meno costoso e legato ai servizi territoriali?
Ricordo che l’accertamento dell’invalidità poco conta per l’accesso ai servizi, ad esempio, residenziali. Nella quasi totalità delle regioni la valutazione della non autosufficienza è poi affidata alle Unità di valutazione multidisciplinare. Quindi, ancora una volta, raddoppio dei costi.
E stiamo parlando almeno del 40% delle visite di invalidità…
Ma moltiplicazioni dei momenti valutativi si riscontrano in modo ancora più evidente nell’ambito del diritto allo studio. Per la definizione di diagnosi funzionali e profili dinamico funzionali il precedente accertamento di invalidità è del tutto inutilizzabili.
Se valutiamo il sistema nel senso dell’efficacia e dell’efficienza, prima ancora della scientificità o dei diritti umani, ne traiamo delle conclusioni davvero desolanti.
Qual è il “prodotto” alla fine del percorso attuale di accertamento?
- una percentualizzazione basata sull’invalidità generica rispetto ad una mansione lavorativa generica;
- la constatazione di una impossibilità a deambulare in modo autonomo o senza l’aiuto di un accompagnatore
- la constatazione (generica) di una impossibilità a svolgere autonomamente non ben definiti atti quotidiani della vita
- la necessità di assistenza permanente continuativa e globale
- di recente la presenza di requisiti per l’accesso a benefici fiscali o per la mobilità.
Nulla descrive in funzione di costruzione di servizi personalizzati, piani educativi, progetti individuali, cioè in funzione delle reali esigenze, aspettative, potenzialità dei singoli e della descrizione del contesto.
Ridisegnare il sistema ponendo al centro i diritti sociali ed umani può rappresentare l’occasione di una intelligente spending review oltre che un lungimirante investimento sulle persone e sulla loro reale inclusione.
È possibile già oggi, un pezzo per volta, ma con decisione.
Agendo anche in piccolo, ma pensando in grande. (Carlo Giacobini)