Il mio amico Andrea Pedrana se n’è andato. Resto orfano dei nostri discorsi, dello scambio velocissimo di battute a raffica. Come in una esaltante partita di tennis. Alzando i toni fino alle più recenti elaborazioni filosofiche ed abbassandoli repentinamente a fraseggio da angiporto.
Finiva con “sei un grandissimo bastardo!”. Uno pari e si riparte.
Scriveva dannatamente bene lo stronzo, quando era ispirato, ma era altrettanto geloso dei suoi pezzi. Prima di darli in pasto al pubblico ce ne voleva. Prima doveva tentare di farli schifare dai suoi amici. Pochi, ma veri.
Un paio di mesi fa mi passò l’attacco di un nuovo possibile romanzo. Ne avevamo in progetto anche uno a quattro mani, molto pulp. Me lo passò con piglio furtivo come se fosse una dose mal tagliata, un pornazzo nascosto dentro la Gazzetta.
Lo ripropongo in pubblico tanto per farlo incazzare. Ancora una volta.
“Più di duemila anni fa, un attempato falegname tornando stanco a casa trova ad aspettarlo un bellissimo ragazzo. Il giovane è alto, occhi azzurri e i capelli biondi. Il vecchio esamina stupito sua moglie che non riesce a reggere lo sguardo dell’anziano marito e abbassa gli occhi. “Scusi lei chi è?” domanda insospettito il poveretto. “Mi chiamo Gabriele e sono qui per dirle mio caro Giuseppe che lei tra nove mesi sarà papà”. Il falegname ha un sussulto, prima alza la testa, poi con le dita di una mano si mette a far di conto ma si blocca subito e rimane impietrito, Maria, la giovane moglie di Giuseppe non sa più dove guardare e prima di scoppiare a piangere corre a nascondersi dietro una tenda.
Era il 25 marzo dell’anno zero per i cristiani.
Lo stesso giorno ma quasi duemila anni dopo, nell’ospedale Mauriziano di Torino nasceva il sottoscritto.
Mi chiamo Andrea, Manlio, Eugenio, Maria. Sono sempre stato un po’ narciso tanto che per diversi anni ordinavo alla sarta di cifrarmi le camicie con le lettere A.M.P., saltando le iniziali dei miei nonni. Ci stava invece la M di Maria perché un tempo adoravo i nomi doppi e una stupidità senza limiti mi faceva credere che questo potesse apparire come un mezzo segno di nobiltà aggiunto a un vezzo decisamente aristocratico.
Sono il secondo di tre fratelli. Il primo si chiama Massimo e ha sei anni più di me e poi c’è Stefano che invece ne ha quasi due in meno di chi scrive. Mio padre si chiamava Ermanno ed è morto nel 2001 mentre è ancora viva mia madre: Annamaria che nonostante gli acciacchi dell’età ha la mente lucida e fa ancora oggi un fritto misto eccezionale.
Ho deciso di scrivere questa storia, la mia storia, per svariate ragioni. Qui di seguito ne elencherò diversi di motivi e mi riprometto di farlo ancora ogni volta me ne verranno altri in mente, un po’ com’è successo ieri sera, complice l’ennesima sconfitta della mia squadra del cuore: il Torino. Possono sembrare stupidi e marginali ma ci stanno.
Copio pedestremente dagli appunti.
Per scopo terapeutico. Per megalomania. Noia. Ho finito i giochini al computer di Angry Birds (comprese le due versioni di guerre stellari). Ho rivisto per la seconda volta l’intera serie della Famiglia Griffin e tutti gli episodi del Commisario Maigret con Gino Cervi.
(E qui arrivato ad anticipare le battute di Cervi e di Peter mi sono reso conto che forse è tempo di prendermi una pausa).
Ho finalmente capito che tra me e Dario Minieri non ci sono solo trent’anni di differenza ma un Porsche Cayenne e un paio di milioni di dollari vinti grazie all’incoscienza che ha un vero giocatore di poker.
Non è un motivo e puzza di vecchio ma che cos’è una biografia se non una confessione o la liberazione dei laccioli che tengono a bada la cattiveria? Perché è vero che con l’età crollano inesorabilmente tutti i tabù ed entri euforico nella parte del giustiziere che in realtà non è altro che l’ultimo tentativo rimasto per fare pace con la coscienza. Ho sempre avuto grossi problemi con quest’ultima. Tutto ha inizio quando il giorno della prima comunione raccontai un sacco di palle al prete per non dirgli quale era il mio vero “peccato mortale”. Sognare la mamma di un mio compagno nella vasca da bagno una notte si e l’altra pure, la vedevo dal petto in su mentre giocava con la schiuma. Sotto il pelo dell’acqua la mia immaginazione non era ancora arrivata, poteva esserci il pisello, una proboscide, il nulla, c’era però quanto bastava per sentirmi un peccatore e tenermi stretto questo segreto che riesco finalmente a confessare soltanto adesso. Allora non ho ragione quando dico che le biografie sono il momento per sputare fuori tutto? Pian piano ci sto arrivando e inizio a divertirmi. Ma andiamo avanti. In breve tempo con l’aiuto del solito compagno di classe più sveglio, scopro cosa c’è sotto il pelo d’acqua e così invento il primo mal di pancia per restare a letto, inizio a toccarmi e come per razione inizia in me un odio sempre più viscerale verso preti e suore e che un giorno finalmente avrei tirato fuori tutto il mio livore verso queste categorie. Ci ho messo più di quarant’anni ma se Dio ha fatto tutto in una settimana, uno come me ha tutto il diritto di prendersela con comodo, fossero anche quarant’anni ma ci arriverò.
Inizio a sentirmi sempre più “grifagno” e, infischiandomene di tutto e tutti, mi infilo dei vecchi guanti di lana bucata, mi avvolgo in stile domopax in uno di quei plaid a quadrettoni colorati che cucivano le nonne per farsi odiare dalle nuore e con la protezione dal buio, nascosto dietro a un computer e dalla nebbia di mille sigarette consumate a metà, tutto ti sembra ancor più facile e meraviglioso per dare sfogo alla mia incazzatura.
Sì, perché e non poteva essere diverso, ero ma lo sono tutto’ora molto arrabbiato. Sono incazzato con mezzo mondo ma a differenza di chi in queste situazioni grida il proprio malessere e si agita diventando persino violento, menando fendenti a destra e manca io mi chiudo tenendomi il muso.
In somma faccio tutto da solo, me le canto e me le suono convinto che la legge dei corsi e ricorsi porti finalmente a galla la giustizia. Un cazzo. Non è quasi mai così o peggio ancora la verità ti prende in giro dandoti in dietro tutto quello che hai patito quando ormai sei dentro una cassa di legno. La rabbia è cieca perché non ti lascia vedere al di la del naso.
“Bisogna incanalarlo tutta questo livore Andrea, non importa se è negativo, rimane pur sempre energia e alla lunga può diventare pericolosa se continui a comprimerla, fregatene se piacerà la tua storia, io sono convinta di sì ma… ascoltami, almeno fallo per te” Mi diceva pochi giorni fa Nicoletta, una mia cara amica. Parole scontate, che si usano nelle circostanze, come porgere le condoglianze ai funerali. Un “Tirami su” a calorie zero che solo il tono con cui è pronunciato ha importanza.
Ci sei riuscita.
Parafrasando una delle tante frasi di Mike Bongiorno allora a questo punto dico: fiato alle trombe Turchetti! Si aprano le danze.”
Ciao, Andrea. (Carlo Giacobini)