Che la storiella dell’aumento delle pensioni agli invalidi fosse una panzana di colossali dimensioni è ormai tanto assodato da rendere crudele ed imbarazzante perseverare a deriderne gli autori.
Suvvia! Era una innocente battuta propagandistica che aveva una sua funzione in campagna elettorale – che non ci avrete mica creduto per davvero? – ma che si è trasformata in un boomerang al momento di dimostrarne la concretezza. Concretezza che non c’è: le pensioni degli invalidi mantengono e manterranno inesorabilmente il loro importo.
L’evidenza è così lampante che lo stesso viceministro per la famiglia e le disabilità, intervistato sul punto, ha, onestamente quanto disarmatamente, dichiarato: “Io non posso che schierarmi con chi sostiene la necessità di un aumento delle pensioni d’’invalidità. Ho segnalato anch’io l’assenza di questa misura nella bozza di decreto.” Il decreto, quasi non serve precisare, è quello sul reddito e sulla pensione di cittadinanza.
Di fronte al trionfo dell’evidenza e al prevedibile sdegno, negli ambienti ministeriali il clima deve essere stato piuttosto teso, in ispecie al ministero del lavoro e delle politiche sociali. Devono essersi accavallate febbrili riunioni e compulsive telefonate alla ricerca di un appiglio, di una scusa, di una spiegazione, di qualcosa per Dio, ancor più urgente visto il fianco lasciato esposto ai soci di governo che altro non attendevano se non un’occasione per attaccare e tesaurizzare lo scivolone del capo del partito di maggioranza relativa.
Come uscirne? Visto che la concretezza costa troppo e gli euro non bastano, si ricorre ad un’altra panzana. Ed ecco Di Maio cambiare puntutamente registro. Sì, ok, le pensioni non le aumentiamo, ma il reddito di cittadinanza è una misura a contrasto della povertà, dunque destinata ad aiutare anche quei 260mila disabili che vivono sotto la soglia di povertà assoluta e che, per tutti loro, il reddito sarà svincolato dall’accesso al mondo del lavoro e dalla trafila dei centri d’impiego.
A parte il fastidio per lo stridore delle unghie sullo specchio, manteniamo la lucidità. Ignoriamo le repliche dei più severi che ritengono che chi ha mentito una volta mentirà sempre e leggiamo con calma ché in due righe ce ne sono troppe da commentare.
Come si siano calcolate 260mila persone con disabilità che vivano in Italia sotto la soglia della povertà assoluta non è dato sapere, visto che non esistono (vergognosamente) indicatori, indagini, ricerche specifiche in grado di perimetrare con la dovuta cura il fenomeno.
ISTAT nella sua ultima rilevazione del giugno scorso ci riporta che in povertà assoluta vivono 1 milione e 778 mila famiglie, alle quali afferiscono 5 milioni e 58 mila persone, cioè la platea elettiva del reddito di cittadinanza. Quella rilevazione dell’Istituto di statistica ci segnala molti elementi preoccupanti quali, ad esempio, il peggioramento delle condizioni dei nuclei con minori e con anziani, l’incidenza maggiore nei nuclei di stranieri, la maggiore rilevanza del fenomeno al Sud… ISTAT ci restituisce uno scenario desolante e peggiore del precedente report.
ISTAT però nulla ci riporta rispetto alla situazione dei nuclei in cui siano presenti persone con disabilità. Forse alcuni dati, sicuramente poco calzanti, il ministro li ha ripresi alla bell’e meglio e in tutta fretta dalla banca dati sull’ISEE, ma in questo caso, per dovere di trasparenza, dovrebbe dichiarare su quella stima un minimo di nota metodologica, altrimenti è, ancora una volta, un tanto al chilo. Ma forse è pretendere troppo…
Con altrettanta approssimazione riteniamo allora lecito affermare, in attesa di smentita nei fatti, che la disabilità e la non autosufficienza sono determinanti assai rilevanti per la povertà e per l’impoverimento, oltre che motivi di esclusione. Quindi il numero di 260mila persone con disabilità che siano anche poveri assoluti non è poi tanto credibile ed è largamente in difetto.
Ma ammettiamo pure che sia reale: a costoro spetta il reddito di cittadinanza al pari di chiunque altro sia povero assoluto. Tant’è che, braccato dall’evidenza, nemmeno il Ministro Di Maio ha potuto più affermare che il reddito di cittadinanza sia una misura per la disabilità, implicitamente togliendosi dal collo il cappio della panzana originaria.
Tuttavia non ha mancato di lasciar cadere nell’autodifesa un ulteriore inquietante elemento: i disabili (e chi li assiste) saranno stati favoriti poiché a loro non verrà richiesto di subire le condizioni imposte agli altri fruitori del reddito di cittadinanza. Quali sarebbero queste condizioni? Entrare nel circuito dei centri per l’impiego, delle offerte di lavoro, dei patti di inclusione sociale. Anche qui le contraddizioni abbondano e gli interrogativi pure e un retropensiero tradisce la sua consistenza: le persone con disabilità è più comodo rimangano nel circuito assistenziale che in un più ambizioso sistema inclusivo.
Manca ancora all’appello il chiarimento più importante che temiamo sarà oggetto di una nuova panzana: quali criteri verranno adottati concretamente affinché un nucleo impoverito in cui sia presente una persona non autosufficiente o con disabilità sia trattato in modo più favorevole di una famiglia in cui non vi siano quelle condizioni?
Come se ne uscirà? Lo sapremo nelle prossime settimane assieme ai 5 milioni di poveri assoluti, molti dei quali il reddito di cittadinanza lo vedranno in cartolina visto anche che l’ansia di queste ore è per ridurre la platea dei beneficiari.
E così anche per quest’anno la povertà la aboliamo l’anno venturo.