Non è aria: c’è ben poco da celebrare quest’anno e men che meno da festeggiare.
È un Primo Maggio con fosche prospettive e amaro per tutti. Per qualcuno più amaro che per altri.
Chi guida il Paese, incombenza che non gli invidiamo, sostenuto da ampie schiere di esperti in ogni branca del sapere, ha compreso agilmente che oltre all’emergenza sanitaria ve n’è una sociale, altrettanto grave, che travolge economia, sistema produttivo e persone.
E ha tentato di porvi rimedio iniettando risorse e agevolazioni alle imprese, alle famiglie. ai lavoratori. Se la cura sarà stata efficace nel suo complesso lo dirà la storia.
Nell’immediato possiamo limitarci alla cronaca, alla fattualità, all’imbarazzante elencazione della fallimentare gestione del binomio disabilità-lavoro. Un binomio delicato perché, oggi più che mai, è la cartina di tornasole di quale valore politico e programmatico si attribuisca concretamente al principio dell’inclusione e delle pari opportunità. Già era gracile e macilento prima del COVID, ora appare sconsolatamente ibernato e senza data di scadenza.
I fatti. Anche le persone con disabilità, nonostante tutto, lavorano. Lavorano e rimangono attaccate al loro impiego con i denti e le unghie aggrappandosi all’ultimo giorno possibile di malattia,persone con disabilità anche gravi, persone con malattie oncologiche, con immunodepressioni, con problemi fisici cronici o transitori. Pur condannate troppo sovente all’invisibilità, o a oggetto di conteggio, o a problema per gli uffici del personale, sono persone che lavorano, che vogliono lavorare, che grazie al lavoro pagano tasse e versano contributi ed evitano di diventare carne da servizi sociali.
Su di loro si è abbattuta più cattiva l’emergenza e la paura. La paura – spesso a ragione – di essere più a rischio di altri, sentimento comprensibile quando si è incalzati da TG, Conferenze stampa, social basati sull’inquietudine, sulla conta dei morti, sulle restrizioni, sul vanto del numero dei controlli e sull’enfasi delle multe appioppate e altre amenità. Ma nondimeno c’è anche il timore e la consapevolezza che quando i sistemi produttivi vanno in crisi i primi a saltare sono i lavoratori più fragili.
Cosa ha fatto per loro il Governo? Vediamolo al di là delle autocelebrazioni della Maggioranza, al di là dei silenzi e dei plausi della servile corte di volonterosi che attorno all’Esecutivo si è lestamente addensata, prodiga di consigli.
Con il decreto “Cura Italia” (taccio sul nome) si è stabilito di ampliare da metà marzo a fine aprile i permessi lavorativi previsti dalla legge 104/1992. Se ne aggiungono 12 ai tre già previsti ordinariamente per ciascun mese. Chi compila quell’articolo però, forse non adeguatamente supportato dagli esperti, si scorda di citare il comma che consente anche ai lavoratori con disabilità di godere di questa nuova agevolazione. Così com’è scritto i permessi spettano esclusivamente ai lavoratori che assistono familiari con grave disabilità. Un pastrocchio da principianti (detto bonariamente) che solo una circolare dell’INPS e una del Ministero della pubblica amministrazione – a denti stretti – riparano estendendo il beneficio anche al disabile che lavora. Intanto però i giorni sono passati.
Ma lo stesso decreto, in un altro passaggio, sbeffeggia con maggior cinismo i lavoratori con disabilità, oltre a quelli con esiti da patologie oncologiche, gli immunodepressi e quanti altri con quadri clinici potenzialmente a rischio. In modo apparentemente generoso il Governo prevede che fino a fine aprile tutte le assenze di quei lavoratori siano equiparate al ricovero ospedaliero. La relativa certificazione dovrebbe transitare attraverso i servizi di medicina legale (che prevalentemente gestisce anche l’igiene pubblica). Non ci vorrebbe un’aquila per intuire che, con tutta probabilità, in questa emergenza quei servizi stanno già collassando. Ma tant’è: quella disposizione rimane lettera morta dal 17 marzo, giorno di entrata in vigore, fino ad oggi. Nessuno (INPS, Ministero del lavoro, Ministero della pubblica amministrazione) si azzarda a fornire indicazioni operative per la effettiva applicazione di ciò che sta scritto in una norma vigente tanto è scombiccherato quel comma. Intanto i lavoratori con disabilità aspettano, cercano improbabili soluzioni, ricevono risposte contraddittorie. E aumenta il loro senso di sfiducia verso le istituzioni, di rabbia, di solitudine.
Il decreto legge approda al Senato per la rituale conversione a inizio aprile e le aspettative che finalmente quel comma venga chiarito sono più forti che mai. Ed in effetti il Senato, con l’avallo governativo, approva un emendamento presentato dal senatore Errani (e altri) e ispirato da FIMMG (i medici di famiglia) in un singolare connubio con Cittadinanzattiva. Il testo, il cui unico “merito” è di tutelare i medici di famiglia arrecando loro meno disturbo possibile, è quanto di peggio la razionalità e la tecnica giuridica possano attendersi: moltiplicazione degli obblighi, dei percorsi, delle competenze, incertezza definitoria, riferimenti errati.
Ed oltre il danno, la beffa: l’agevolazione scade comunque il 30 aprile, cioè prima ancora che lo splendore di queste modificazioni entrino in vigore.
Di circolari e di istruzioni nel frattempo manco l’ombra.
Non difettano al contrario quelle che pongono limiti. Ad esempio ci si affretta a precisare che chi è in cassa integrazione non può fruire dei permessi 104, che se la cassa integrazione è parziale i permessi vanno riproporzionati. Non sia mai che i lavoratori disabili o con familiari con disabilità si vizino troppo. Niente permessi se c’è cassa integrazione con le sue varie forme e denominazioni (CIG, CIGO, FIS ecc.) su cui peraltro ci si scorda spesso di informare che in taluni casi si perdono gli assegni familiari. Tanto per dire…
Qualche esimio esponente governativo, con il supporto degli immancabili solerti agiografi, ci ricordano poi che il decreto “Cura Italia” ha fissato il diritto per i lavoratori con disabilità e per chi li assiste allo smart working. Un diritto condizionato però da quella magica parolina che ne annulla la reale cogenza: “quando possibile”.
Ma il Governo, nel curare l’Italia – rivolge la sua attenzione ai lavoratori autonomi e alle “partita IVA”: sono privi di strumenti di protezione e di integrazione al reddito – come appunto la cassa integrazione – invece previsti per i lavoratori dipendenti; è giusto che abbiano un sostegno. Ecco il bonus di 600 euro di cui si è molto parlato nelle ultime settimane e che è andato, a sentire il baldanzoso Tridico – a qualche milionata di lavoratori.
Per ottenerlo non sono previsti limiti reddituali relativi ai mesi pregresso o all’anno precedente: lo può richiedere chiunque, anche il notaro con un studio ben avviato, purché rientri in quelle categorie.
Niente limiti di reddito epperò… se il lavoratore autonomo percepisce un assegno di invalidità (non civile) perché affetto da una patologia che ne condiziona la produttività, è escluso dal bonus di 600 euro. La spieghiamo meglio: l’assegno di invalidità, solitamente poche centinaia di euro, è una misura previdenziale non assistenziale come l’invalidità civile. Il lavoratore la ottiene perché ha versato di tasca sua contributi. La ottiene perché è in difficoltà. Ma se la percepisce e si aggiunge l’emergenza Corona virus non ha diritto a niente altro. Al notaro che il mese precedente ha incassato 20mila euro, sì; a lui che magari è una partita IVA e piglia 200 euro di assegno di invalidità, no.
Anche su questa paradossale disparità, questo Governo e questa Maggioranza, nonostante una robusta mobilitazione di alcuni, sono rimasti irremovibili.
Figuriamoci se tale visione poteva contemplare anche agli altri grandi esclusi – i caregiver familiari – ipotizzando anche per loro l’estensione del bonus da 600 euro. Figuriamoci, sì: siamo lontanissimi dal riconoscere che quello del caregiver familiare è di fatto un lavoro che merita un sacrosanto riconoscimento, non morale ché è troppo comodo, ma previdenziale, economico, giuridico.
Entriamo nella Fase 2. Inizia da lunedì prossimo come sancito il 26 di aprile dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il DPCM che, merita ricordarlo, è un atto amministrativo. In questo caso un atto di 70 pagine con 10 allegati che ci spiegano anche quando e come lavarci le mani, che ci illustrano il “piano” con un diagramma di flusso che evoca il giro dell’oca. E che ci illustrano come funzioneranno i sistemi di trasporto pubblico ignorando completamente l’esistenza di anziani e persone con differenti disabilità. Che fine farà il trasporto porta a porta, i servizi di accompagnamento, i sistemi informativi per le persone con disabilità, come funzionerà la salita e discesa da autobus per persone in carrozzina, se vi saranno precedenze nelle code che saranno il tratto distintivo del nostro paesaggio urbano … non è dato sapere. Non un accenno, non una parola. La mobilità è essenziale al lavoro, alla vita, alle relazioni. Senza quelle garanzie le persone con disabilità rimangono alla Fase 1, fase che in molti subiscono già da una vita.
Fase 2: non riapriranno le scuole. Per i centri diurni forse ci sarà qualche sperimentazione. Abbiamo però, per restare al tema di oggi, qualche migliaio di persone con disabilità o con problemi di salute mentale,che ante-COVID erano impegnate di stage e tirocini in azienda. Qualcuno si è posto una domanda sulla loro sorte dopo che gran parte delle regioni hanno sospeso quei percorsi?
Fase 2. Il decreto “Cura Italia” prevedeva alcune agevolazioni che, pur in maniera scombinata e senza una visione razionale, consentivano ai lavoratori che assistono minori o persone con disabilità o agli stessi disabili che lavorano, permessi più ampi o congedi straordinari. Con la fine di aprile sono finiti e non sono ancora confermati. Oggi è il primo di maggio e le famiglie, le persone, i lavoratori non hanno ancora alcuna certezza per poter organizzare la loro vita almeno a maggio. Che inizia oggi. Mica si sta vagheggiando di ripensare al rapporto fra disabilità e lavoro o di ridisegnare il sistema di inclusione lavorativa o dei sostegni e servizi. No, banalmente forse e senza velleitarismi si chiede se a maggio si può contare su qualche giorno di permesso in più.
Il Governo aveva assicurato che questi aspetti che riguardano le vite delle persone sarebbero stati sviscerati nel decreto legge (un altro) che già era stato battezzato il “decreto aprile”.
Finirà come la Rivoluzione di ottobre che fu a novembre. Ci auguriamo con meno conseguenze nefaste ché quelle che vediamo sono già bastanti.
Buon Primo Maggio a tutti. Anche agli invisibili e ai murati in casa.