La riformona e la prestidigitazione

“Senza lilleri ‘un si lallera”
(proverbio toscano)

Già da un pezzo (2021), vagheggiando la realizzazione della riformona della disabilità, il Legislatore ha stanziato un po’ di quattrini e li ha conservati nell’apposito “Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità”. Serve – citando la norma – per “l’attuazione di interventi a favore della disabilità, finalizzati al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno in materia”. Il Fondo ha subito negli anni imbarazzanti vicende e riduzioni: visto che la delega sulla disabilità non era attuata il Ministero dell’economia se n’è preso più volte quote significative per coprire altre esigenze di bilancio che con la disabilità non hanno nulla a che spartire.
Due numeri. Al netto del metti e togli il Fondo per la riforma della disabilità – chiamiamolo così per semplicità – ammonta a 350 milioni per il 2025, 435 milioni per il 2026, 385 milioni per il 2027.
Vale la pena di ricordare che a regime (2026) 215 milioni all’anno servono per pagare le commissioni INPS che condurranno le palingentiche valutazioni di base e 32 milioni per i medici delle associazioni di categoria.
Per l’implementazione dei progetti di vita sono invece riservati solo 25 milioni l’anno dal 2025.

Fin qua son fatti noti. Meno noto invece è che un paio di settimane fa il Fondo ha subito un’altra drastica riduzione, ancora una volta nel silenzio generale. Volatilizzati 480 milioni in tre anni.
Un’altra spallata alla credibilità dell’incensata riforma della disabilità e alle fake news secondo le quali vi sarebbero, oltre ai rivoluzionari intenti, anche nuove risorse per la disabilità stessa.
Il fondale in cui si è consumato questo giochino di prestigio è la VII Commissione della Camera che stava discutendo la conversione del decreto legge 71/2024, lo stesso augusto consesso che, su indicazioni governative, ha spostato al novembre 2025 il termine per il nuovo regolamento sui criteri di accertamento e ha ridotto la sperimentazione annuale a sole tre condizioni (spettro autistico, diabete 2, sclerosi multipla).

Per comprendere il trucco del soldo bisogna riavvolgere il nastro con un flashback su un altro Fondo.
Nell’ultima legge di bilancio (legge 30 dicembre 2023, n. 213, art. 1, co. 210 e seguenti), su iniziativa governativa si è giunti a formalizzare il nuovo “Fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità”. Uno sforzo, tecnicamente apprezzabile, di riportare in un unico contenitore vari fondi riservati alla disabilità sparsi della disorganica normativa italiana e dalle altalenanti sorti. Bene inteso: non tutti i fondi vi confluiscono ma solo alcuni che vengono contestualmente soppressi.
Vengono dunque abrogati il Fondo per l’inclusione delle persone con disabilità che comunque dal 2024 non aveva alcuna dotazione, il Fondo caregiver anch’esso vuoto dal 2024, il Fondo per l’inclusione delle persone sorde e con ipoacusia a 0 euro dal 2025.
Viene anche soppresso il Fondo per l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione degli alunni con disabilità che al contrario contava su una dotazione di 200 milioni dal 2023 in poi.
Alla fine la dotazione del nuovo Fondo è di poco meno di 232 milioni dal 2025.
Nelle finalità del nuovo Fondo unico c’è di tutto un po’: dal potenziamento dei servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione per gli alunni con disabilità alla realizzazione di infrastrutture anche destinate ad attività ludico-sportive; dall’inclusione lavorativa e sportiva al turismo accessibile, dalle iniziative dedicate alle persone con disturbi del neuro-sviluppo e dello spettro autistico, alla promozione dell’inclusione delle persone sorde e con ipoacusia. E, per finire, “interventi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del caregiver familiare”. Insomma il pozzo di San Patrizio e il tutto con 232 milioni l’anno.

A preoccuparsi seriamente però sono gli enti locali che, con la soppressione del Fondo per l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione degli alunni con disabilità, intravedono un verosimile buco nella gestione del trasporto scolastico in particolare nelle scuole secondarie. Una preoccupazione denunciata già all’indomani della costituzione del Fondo unico. E il problema si pone già per gli ultimi mesi del 2024. Non bastano un centinaio di milioni l’anno.

Su questo – e torniamo ad oggi – ecco la soluzione appunto in sede di conversione del decreto legge 71/2024. Si interviene a corregge il Fondo unico. Innanzitutto fra le finalità si aggiunge, ad abundantiam, quella del trasporto scolastico e se ne blinda il finanziamento.
Poi si integra quel Fondo unico di “nuove” risorse: 14 milioni per il 2024, 213 milioni per l’anno 2025, a 158 milioni per l’anno 2026 e 108 milioni l’anno a decorrere dall’anno 2027.

Missione compiuta, non c’è che dire! Ma da dove arrivano quei quattrini? Arrivano dalla fiscalità? Dalla riduzione di spese militari? Da risorse UE? La risposta che non osate pronunciare è corretta.
Il finanziamento del Fondo unico corrisponde ad una riduzione di pari importo del Fondo per la riforma sulla disabilità. Nemmeno un euro in più per la disabilità con buona pace della propaganda.
Per capirla meglio, prendiamo il 2025 e il 2026.
Nel 2025 il Fondo per la riforma è ridotto da 350 a 137 milioni; 71 milioni dei quali vanno a INPS e 6,6 ai medici di categoria.
Nel 2026 il Fondo passa da 435 milioni a 277, di cui 215 riservati a INPS e 32,8 ai medici delle associazioni di categoria.

Detto questo rimane un interrogativo al momento irresolubile: con quali risorse si garantiranno le politiche epocali, i progetti di vita individuali, personalizzati, partecipati (bla, bla, bla), il nuovo approccio alla disabilità che comporta finanziamenti adeguati e certi?
Al netto della proposopea degli intenti, sul piatto ci sono le stesse risorse di sempre, cioè quelle del tutto insufficienti ad affrontare seriamente non solo i sogni futuribili, ma anche le emergenze dannatamente attuali. E non è certo con la prestidigitazione che si risolve tutto ciò.