Ho avuto la fortuna di ritrovarmi a leggere un gustosissimo articolo di Vittorio Marchis, professore del Dipartimento di Meccanica al Politecnico di Torino (Rivista Kos n. 196/197 di quest’anno). Da Capitan Uncino ai cyborg, è l’accattivante titolo del pezzo che ripercorre, con passi riflessivi ed affabulatori, la storia e il mito delle “protesi per l’uomo” e delle “protesi di uomo”, i cyborg appunto. La mitologia classica come quella indiana, precolombiana o celtica, tramanda storie di dei o semidei amputati o con protesi. Il dio azteco Tezcatlitoca è un amputato eccellente e viene raffigurato con la sua menomazione. Anche Aia Paec, dio giaguaro peruviano è senza un braccio. Per Pèlope, il nipote di Giove, Demetra, dea dell’agricoltura, aveva realizzato una protesi d’avorio per la spalla di cui inavvertitamente si era cibata.
Dal mito alla storia: i reperti romani, le bronzee protesi per i guerrieri rinascimentali, il Seicento e il Settecento con lo sviluppo della meccanica. E via via sino all’insano desiderio degli artigiani (o negromanti?) di sostituirsi a dio creando a loro volta esseri semiumani: il Golem, il mostro di Frankenstein, gli androidi …
Scopriamo anche altre curiosità: Ruth Handler, recentemente scomparsa, inventò la prima protesi per donne che avevano subìto una mastectomia. Ruth Handler non divenne famosa per questo motivo, ma per aver inventato la famosissima bambola Barbie.
Ci piace ipotizzare che ci sia stato qualche complesso nesso causale nel percorso della Handler che l’abbia portata dalla protesi mammaria e alla creazione di un bambola.
È affascinante il quadro storico e culturale tratteggiato da Marchis. Affascinante e motivo di ulteriori riflessioni.
Ci viene subito da osservare che uno dei tratti che più distinguono l’uomo dagli altri esseri del mondo animale, è proprio la realizzazione, fin dai primordi della storia meno nota, di strumenti utili alla caccia, alla pesca e all’agricoltura e poi, disgraziatamente, alla guerra, alla difesa e all’offesa. Ma qual è la sottile differenza fra un utensile e un ausilio o una protesi?
L’utensile (dalla zappa al computer) ci serve per essere più efficienti, più produttivi, per raggiungere un obiettivo con la minor fatica possibile. L’ausilio serve per compensare una funzione o un organo che non sono più in grado di assolvere alla loro “normale” attività. È quindi ideato pensando ad una menomazione da contenere. Sembra lineare come deduzione, tanto asettica da mettere tutti d’accordo.
Ma ci sono degli elementi di complicazione che ci fanno lasciare da parte l’analisi antropologica e ci portano a far di conto con la cruda attualità.
Gli ausili, come gli utensili, costano. E costano tanto di più quanto più devono essere personalizzati e adattati alle menomazioni. Non possono essere certo realizzati con economie di scala o in catena di montaggio. Inoltre, i potenziali acquirenti hanno spesso il brutto difetto di avere una limitata disponibilità economica. Allora, lo Stato Sociale, per evitare di fronteggiare una torma di disabili, ha ritenuto propizio fornire direttamente questi prodotti a chi ne abbia necessità. Lo Stato Sociale è una sorta di Demetra che si accorge di essersi mangiato un pezzo di Pèlope e lo aggiusta regalandogli una protesi.
Ma siccome è regalata, quella protesi può essere anche di seconda mano o non proprio perfetta come quella realizzata da una divinità. Meglio ancora se non costa molto.
In Italia il sistema di fornitura di ausili lascia una vistosa scia di scontentezza. I medici sono costretti, da pastoie e legacci burocratici, a non prescrivere ciò che sarebbe davvero utile alle persone disabili: quella carrozzina è eccezionale ma costa troppo, il materasso ortopedico non te lo posso prescrivere perché non sei allettato, la carrozzina superleggera non te la possiamo concedere perché ne hai già una da esterni, del computer non se ne parla …
Scocciati sono i produttori di ausili costretti al ribasso delle loro tariffe per vincere improbabili gare di appalto e senza più spazi né tempi né contributi per poter fare ricerca (quelli che l’hanno fatta).
E bastonati, manco a dirlo, sono i diretti interessati che spesso si trovano ad agitare i gracili pugni contro un nemico invisibile e di gomma.
L’Italia delle prescrizioni è sufficientemente compatta: dal Veneto, dove si risparmia sulla concessione dei cateteri, al Piemonte dove si limita la fornitura di cannule per tracheostomizzati, ad altre regioni del Sud dove un ventilatore polmonare si attende per mesi. Pensate: non stiamo, in questi casi, pretendendo ausili per giocare a tennis, né di carrozzine per andare in spiaggia. Stiamo aspirando a due funzioni fisiologiche: respirare e fare pipì.
Ma chi ne trae vantaggio? Le casse delle Regioni innanzitutto, il cui motto sembra essere diventato: risparmiare, privatizzare, tagliare.
La tendenza è stata legittimata – e ne vedremo delle belle – con l’approvazione dei Livelli Essenziali di Assistenza. Si tratta di un provvedimento che consente alle Regioni di regolare come meglio credono la propria assistenza sociosanitaria, rispettando però standard minimi (grottescamente minimi, diciamolo). Evviva il federalismo. Con questo viatico le Regioni potranno essere ancora più rigide nella fornitura di ausili. Qualche esempio … Il Decreto del 1999, che fissa le regole per la concessione degli ausili, prevedeva che potessero essere forniti, nel caso di disabilità gravissime, prodotti non previsti nell’elencazione così attentamente e parsimoniosamente elaborata del Ministero della Salute.
A distanza di tre anni stiamo ancora attendendo che lo stesso Ministero indichi le modalità e le regole per accedere a queste opportunità. Qualcuno dice che ora la competenza spetta alle Regioni, qualcun altro che è compito della Conferenza Stato Regioni senza il cui parere sembra che neanche una foglia possa essere mossa. Nel frattempo le ASL fanno finta di nulla oppure applicano di nascosto l’originaria prescrizione in casi particolari (leggi: utente rognoso).
E c’è qualcun altro che trae vantaggio dai risparmi nella spesa per la protesica. Per sapere chi sia basta rispondere ad una semplice domanda: a chi vanno i premi incentivanti e di produzione quando a fine anno si dimostra una spesa inferiore all’anno precedente?
Ma chi controlla la qualità di quei risparmi? Chi verifica la soddisfazione dell’utenza? Chi verifica come viene effettuato il riciclo degli ausili? E quando si bandiscono le gare per i cateteri e gli altri prodotti essenziali come viene garantita la libertà di scelta da parte dell’utente? Sembra che l’unica sostanza stia nei risparmi ed è una logica contabile presbite (vede bene solo le cose lontane) che ben poco ha a che spartire con la riabilitazione e la salute. Altro che qualità.
C’è di che far inorridire gli dei dell’Olimpo, Demetra in testa. (Carlo Giacobini)