Se hai bisogno di un nuovo frullatore, di quelli che hanno mille funzioni, passi un paio di sabati pomeriggio a girare per negozietti e megastore finché trovi quello che sei convinto sia un affarone. Te lo compri, tutto e subito oppure in dodici comode rate, e te lo porti a casa. È semplice no? Sei un consumatore informato e attento, ma comunque riverito e un po’ viziato (almeno fino a quando non hai comprato).
Sei hai bisogno di una pillola puoi andare dal tuo amico farmacista, magari con la ricetta che il tuo medico di fiducia ha compilato per te. Paghi tutto, paghi una parte, paghi il ticket o ne sei esente, ma alla fine te ne esci, sorridente e già un po’ guarito, dalla tua farmacia con il tuo pacchettino con la tua medicina. È semplice no? Sei un cittadino, un utente del Servizio Sanitario Nazionale.
Se invece hai bisogno di un busto ortopedico, di una carrozzina, di un sollevatore, di un materasso antidecubito o di qualsiasi altra diavoleria più o meno utile alla tua salute, rassegnati: stai per entrare in meccanismi che, da profano, non puoi nemmeno immaginare. Può anche darsi che vada tutto per il meglio, ma non illuderti di averne compreso la logica.
In Parlamento abbiamo stabilito che quello alla salute è un diritto rilevante per il cittadino e che tale diritto va tutelato nell’interesse del singolo e della collettività Apposta abbiamo istituito il Servizio Sanitario Nazionale: per garantire concreta ed omogenea attuazione a quella tutela.
Garantire il diritto alla salute – ce ne siamo riempiti la bocca in centinaia di convegni – non significa solo curare, ma anche prevenire e, appunto, riabilitare.
Riabilitazione non è solo la terapia fisica, i massaggi, i fanghi, le stimolazioni manuali o strumentali della fisiatria ufficiale o della medicina alternativa. Riabilitazione è qualcosa di più: è restituire, o provarci almeno, autonomia alle persone. Far sì che tornino a fare ciò che erano capaci di fare prima di un incidente, un trauma, una malattia, un evento che li ha resi, checché se ne voglia dire, meno abili.
E la riabilitazione è garantita non solo da varie professionalità (e non solo mediche): è praticabile anche grazie a prodotti, a dispositivi, ad ausili, a strumenti che non curano e non fanno miracoli ma che possono rendere autonomia o sicurezza alle persone anziane o con disabilità.
Se siamo d’accordo che gli ausili sono strettamente legati alla riabilitazione e siamo convinti che questa debba essere garantita ad ognuno di noi nel momento in cui ne avrà bisogno, non possiamo che avere in uggia altre logiche.
L’intento “primordiale” era di garantire l’ausilio giusto senza troppi sovraccarichi, ma poi cento “se” e altrettanti “a condizione che” hanno reso meno limpido e immediato il raggiungimento dell’obiettivo iniziale. L’ultima norma – i tecnici lo chiamano “nomenclatore tariffario” – che regola il settore risale al 1999, ma è una rivisitazione senza sostanziali modificazioni di un precedente decreto del 1992.
Ci avevano fatto credere che gli ausili erano gratis e invece scopriamo che se un prodotto supera un costo predeterminato, la differenza se la deve pagare il cittadino. Non importa quanto quell’ausilio sia indispensabile e non è rilevante quale sia la situazione economica dell’interessato. La logica è quella del mero risparmio per lo Stato, per le Regioni e per le ASL. È così dal 1992: non ce ne siamo accorti ora, ma la situazione sta sempre più peggiorando perché tutti gli elementi di garanzia pur previsti si stanno sgretolando sotto la pressione di un miope contenimento dei prezzi.
Era previsto che l’ausilio fosse di proprietà dell’assistito, ma si è vanificata e trasformata in barzelletta l’indicazione sottilizzando che se le Regioni e le ASL “attivano processi di riciclo”, l’ausilio può essere richiesto indietro quando non è più utilizzato.
Questo ha permesso a molte ASL di pretendere la restituzione di carrozzine (magari vecchie di 10 anni) a persone che ne richiedono una di nuova. Questo ha dato la stura all’organizzazione di risibili attività di riciclo degli ausili attivate alla bell’è meglio da tante ASL.
Il riciclo è una cosa seria: se ben organizzato può essere davvero utile a risolvere agevolmente situazioni di emergenza, rotture accidentali di prodotti, a rendere più veloce la prima fornitura di letti, comode, carrozzine. Il riciclo è una cosa seria: si basa su un magazzino informatizzato, sulla corretta manutenzione e igienizzazione di ciò che rientra, su un sistema di consegna a domicilio, su una sensibilità professionale che spesso manca. E invece troppo spesso viene usato solo per non acquistare prodotti nuovi. Per carità, il risparmio va bene, ma se non distorce le reali necessità del cittadino. E questo è più probabile che avvenga quando il risparmio sulle spese per gli ausili si trasforma in incentivi o premi per i dirigenti delle ASL.
Ma passiamo ad altre ferite aperte. Il Decreto del ’99 disegna un ben preciso impianto organizzativo per giungere all’erogazione degli ausili. Sono quattro i passaggi: la prescrizione, l’autorizzazione, la fornitura e il collaudo. È un impianto che è rimasto sulla carta soprattutto per le parti di maggior tutela per il cittadino.
La prescrizione – sta scritto – la può fare solo un medico specialista. Deve riportare, oltre al tipo di prodotto e il suo codice internazionale (ISO), una diagnosi circostanziata e il programma terapeutico che indica i motivi e gli obiettivi della prescrizione stessa e i successivi momenti di verifica. Un documento fatto bene, insomma! Non è così: oggi la stragrande maggioranza delle prescrizioni – senza che Regioni e Ministero abbiano nulla da ridire – si riducono ad una notarile indicazione generica del tipo di prodotto e del suo codice ISO. Qualcuno, per mancanza di tempo, di risorse o di voglia, non fa il suo mestiere.
L’autorizzazione: una volta in possesso della prescrizione il cittadino la consegna ad un ufficio dell’ASL (di solito lo chiamano “Prestazioni e protesi”) incaricato di autorizzare la fornitura. Il più angosciante problema è quello dei tempi di attesa spesso biblici e non certo legati ad incentivi al personale. Le Regioni stanno effettuando monitoraggi sui tempi di autorizzazione? Non ci risulta, ma confidiamo in violente smentite.
L’autorizzazione serve a verificare le condizioni di prescrivibilità e di diritto, e cioè se il prodotto prescritto è effettivamente contemplato dal nomenclatore tariffario e se il cittadino ne ha effettivamente diritto. È un passaggio prettamente burocratico, quindi, che non comporta specifiche competenze mediche e che non a caso viene svolto prevalentemente da personale non sanitario. Eppure troppo spesso nel momento dell’autorizzazione si entra nel merito (sanitario) della prescrizione cioè si contesta ciò che il medico ha prescritto.
Con pazienza (molta) si ottiene l’autorizzazione che apre la possibilità di ottenere la fornitura da parte di un’azienda autorizzata. Anche in questo caso i tempi, nonostante i limiti massimi siano fissati dalla legge, possono essere lunghissimi. Qualcuno controlla? Beh, certo … le ASL non hanno molta capacità contrattuale: con che faccia possono pretendere velocità nella consegna se poi fanno attendere mesi e mesi il pagamento delle relative fatture?
E il collaudo? Quando viene effettuato si risolve spesso in una occhiata pro-forma.
Questo è il desolante panorama. Le eccellenze (poche) sono risucchiate dall’indecenza purtroppo diffusa. Se questo genere di trattamento e prestazioni fosse posto in essere da una azienda privata, questa verrebbe messa alla berlina ma soprattutto giungerebbe al fallimento nel giro di qualche settimana. Le unità sanitarie locali sono, di nome almeno, diventate aziende, ma non agiscono in concorrenza, hanno clienti garantiti, le nomine dei direttori generali sono politiche, chi sbaglia non paga e chi lavora meglio (al meglio per il cittadino) non è ripagato, il controllo di qualità è ridicolo. Ma che razza di aziende sono? E noi ne siamo clienti, utenti, o solo tessere sanitarie? (Carlo Giacobini)