L’estate non si è presentata così calda e afosa come lo scorso anno, ma forse le temperature e il grado di umidità di agosto sono stati comunque sufficienti a confondere qualcuno. O almeno speriamo che la colpa sia solo del clima.
A fine luglio è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il DPEF, il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria. Per i non addetti ai lavori (cioè il 99 % degli italiani) si tratta di una analisi della situazione economica del Paese condita con gli intenti del Governo per sanare il deficit di bilancio, intenzioni che poi troveranno riverbero nella Manovra finanziaria. A fine luglio stava tramontando l’era Tremonti ma non, forse, quella finanza creativa di cui il professore è stato il vessillo.
In questo contesto e sul tema della prossima finanziaria, il 2 di agosto l’Adnkronos raccoglie le dichiarazioni di Giuseppe Vegas. Mica di un peone della maggioranza: è il sottosegretario al Tesoro. Dice: “Da quando le verifiche sulle invalidità sono passate dalle commissioni mediche militari alle ASL, la spesa si è impennata. O sono diventati tutti invalidi o il meccanismo non è in grado di reggere. Per questo occorre tornare a quelle commissioni in modo da ripristinare un meccanismo rigoroso”.
Forse è il caldo o forse “voleva solo essere una provocazione” o piuttosto è “stato male inteso”. Fatto sta che di smentite non ce ne sono state, nemmeno dopo la pubblicazione delle sue dichiarazioni sul Corriere, Repubblica e altri colossi della carta stampata.
La lotta ai falsi invalidi, si sa, è come il prezzo delle sigarette. Quando serve qualche milioncino si tranquillizza la Corte dei Conti e l’opinione pubblica fissando le solite misure. L’ha fatto il centrosinistra. Lo fa anche il centrodestra. E poi è facile criminalizzare le vittime di questi provvedimenti: fumatori accaniti che nuocciono alla salute propria e altrui, falsi invalidi parassiti e sanguisughe…
Solo che in questo caso qualcosa non torna.
Partiamo dalle commissioni militari. Quella di trasferire le competenze di accertamento delle minorazioni civili dal Servizio Sanitario Nazionale (dalle ASL cioè) alle Commissioni mediche militari era stata una “brillante” idea di un attuale leader del centrosinistra: il sottile dottor Giuliano Amato. Sul finire della Prima Repubblica, Giuliano Amato si alternava fra il Ministero del Tesoro (oltre che essere vicesegretario del PSI di Craxi) e la Presidenza del Consiglio. In quel clima di pesante deficit, fra le altre misure “rigoriste”, nel 1988 si inventò appunto di togliere il compito di accertare l’invalidità civile alle ASL per attribuirlo alle commissioni militari, che si sperava fossero più rigide dei loro colleghi medici pubblici. L’esperimento fu un “bagno di sangue”: in meno di due anni la giacenza delle domande andò alle stelle e il numero di provvidenze concesse comunque non diminuì, tant’è che nel 1990 la competenza tornò, con buona pace di tutti, alle ASL.
Già allora le commissioni militari non erano in grado di aggiungere gli accertamenti previsti dal Legislatore ai consueti compiti. Figuriamoci se lo sarebbero ora: a metà degli anni ’90 tutta la sanità militare è stata riformata e ridimensionata. Crediamo quindi che i primi ad essere allarmati per le parole di Vegas siano i medici militari, non solo per la mole di lavoro insostenibile, ma anche perché dovrebbero comunque applicare criteri di valutazione cui non sono avvezzi.
Ma non è solo questa ipotesi antistorica a non tornare.
Nel novembre dello scorso anno, su pressione del Governo è stata approvata una norma (legge 326, articolo 42, per gli amanti della precisione) che attribuisce una ancor maggiore capacità di controllo alle commissioni di verifica. Che non sono le commissioni militari, ma organismi – badate bene – di quello stesso ministero, il Tesoro, di cui Vegas è sottosegretario. Compito di queste commissioni è verificare la correttezza, formale e sostanziale, delle certificazioni emesse dalle commissioni ASL in materia di invalidità civile, di handicap e di disabilità ai fini dell’inserimento lavorativo. Delle due l’una: o Vegas ha dimenticato la disposizione voluta dal suo stesso dicastero oppure non ritiene affidabili nemmeno le sue commissioni. Oltre alle competenze sono stati previsti anche adeguati finanziamenti: che senso avrebbe ora quella spesa? Non è uno spreco? E poi che dirà la componente più federalista della sua compagine governativa? Infatti, quella in corso è una manovra con cui lo Stato (romano e centralista) si riprende competenze che sono state delegate alle Regioni.
Sin qui le ipotesi di Vegas. Ora vediamo i fatti che il sottosegretario cita: la spesa per gli assegni, le indennità e le pensioni agli invalidi civili si sono impennate!
Siamo soliti verificare i fatti controllando tutte le fonti, adottando il rigore di riprendere preferibilmente quelle non vicine (idealmente) alle nostre posizioni. Citiamo quindi l’INPS per rispondere a Vegas: l’Istituto ha, in queste settimane, presentato la “fotografia” dell’andamento della spesa per le provvidenze economiche agli invalidi civili.
Due dati secchi: solo nel primo semestre del 2004 le domande di invalidità sono scese del 5,7 %. Il numero delle domande accolte è invece sceso del 9,7%.
Sono dati difficilmente controvertibili, visto che provengono dall’ente erogatore delle pensioni di invalidità, cioè l’INPS, Istituto non certo di manica larga nei confronti degli invalidi civili. Si vedano a questo proposito alcune sue recentissime disposizioni: anche queste sono in linea con la logica che fra gli invalidi si annidino molti furbi, che le domande vadano scoraggiate, che vadano effettuate verifiche, controlli a tappeto e a campione, nascondendo l’evidenza che la spesa per la disabilità in Italia è talmente ridicola da non influire certo sulla voragine di cui i conti pubblici soffrono.
Fra giugno e luglio, dicevamo, l’INPS, in silenzio e lontana dai riflettori e dall’attenzione dei media distratti da altre frivolezze estive, ha introdotto alcune simpatiche novità per gli invalidi. La questione è ingarbugliata, ma merita di essere sciolta perché è davvero paradossale e significativa e rende ancor più avulse le dichiarazioni di Vegas.
Seguiteci! Per ottenere una qualsiasi provvidenza economica, il disabile deve ottenere il riconoscimento di invalidità, che passa sotto le forche dell’accertamento sanitario, e non superare un certo limite di reddito personale (ad esempio poco meno di 4000 euro annui, per gli invalidi parziali). Questo prevede una norma, ormai consolidata, del 1971. Se il limite di reddito viene superato, la pensione o l’assegno vengono revocati per essere nuovamente concessi qualora il reddito rientri nei limiti. Fin qui tutto noto e ampiamente condiviso.
Qual è la novità estiva dell’INPS che in questa prodezza ha ottenuto l’avallo del Ministero del Tesoro?
Se la pensione o l’assegno non vengono concessi o vengono revocati per motivi reddituali e successivamente l’interessato rientra in questi limiti, deve presentare una nuova domanda per la nuova concessione. Attenzione, ecco il nuovo: questa domanda non comporta solo una verifica reddituale, ma anche un nuovo accertamento sanitario. Avete letto bene: l’invalido, già accertato tale dalla commissione ASL e “verificato” dalla commissione del Tesoro, deve risottoporsi a visita! Come se la variazione reddituale ne modificasse anche il grado di invalidità!
L’INPS cita, a 33 anni di distanza, la legge 118/1971 a sostegno della sua tesi, ma quella norma non prevede affatto la ripetizione delle visite in casi del genere.
Qual è il motivo di questa decisione? Perché moltiplicare esponenzialmente il numero delle visite? Perché gravare le ASL di questo carico di lavoro con spreco di risorse, tempo e denaro pubblico? Secondo noi la risposta è solo una: scoraggiare le domande!
Dopo aver emanato questa indicazione (messaggio INPS 18703), qualcuno ha fatto notare che forse c’era qualcosa che non andava … qualcosa che cozzava con una norma approvata di recente dal Parlamento. Qual è la buccia di banana? La legge 326 del 2003 prevede che “i soggetti portatori di gravi menomazioni fisiche permanenti, di gravi anomalie cromosomiche nonché i disabili mentali gravi con effetti permanenti sono esonerati da ogni visita medica, anche a campione, finalizzata all’accertamento della permanenza della disabilità.” Ahi, ah, ahi! Povera INPS e povero Ministero del Tesoro: come si fa adesso?
È troppo tardi per tornare indietro! L’unico modo di salvarsi per l’INPS è di diramare un secondo confuso messaggio (20901) in cui tenta di tamponare il danno, senza ritornare sulla scelta di principio. Siccome le gravi patologie e menomazioni devono essere definite da un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (sic!) di concerto con il Ministro della salute, e siccome quel decreto ancora non c’è l’INPS decide che : “al fine di evitare che soggetti affetti da tali patologie, sopportino ulteriori e gravosi disagi per una nuova visita medico-legale sottesa ad accertare la persistenza dei requisiti sanitari, l’Istituto verificata l’insussistenza del requisito ostativo a carattere reddituale con le usuali modalità, provvederà ad erogare le relative provvidenze economiche a partire dal 1° giorno del mese successivo dell’accertamento dei requisiti reddituali, segnalando alle ASL territorialmente competenti i nominativi dei suddetti beneficiari per le eventuali visite di controllo.”
In parole più semplici: visto che non posso richiamare a visita le persone con gravi disabilità e visto che non ho i riferimenti per individuarle, per il momento non chiamo nessuno a visita, passando il cerino alle ASL che – se sono lucide – si guarderanno bene di prestarsi al gioco per non offrire il fianco a contenziosi.
Inutile sperare, ormai, che il Governo usi la delega che ha per riformare finalmente i criteri e le modalità di accertamento delle disabilità.
In questo clima di confusione, luoghi comuni, convinzioni infondate, opposti interessi, assordanti silenzi (le Regioni), si avvicina la Finanziaria che potrebbe riservarci conferme agli scenari vagheggiati da Vegas e altre amare sorprese. (Carlo Giacobini)