Siamo reduci dalla III Conferenza Nazionale sulle Politiche per la Disabilità (Torino 2-3 ottobre). Alla kermesse torinese hanno partecipato, con grande schieramento, molti rappresentanti associativi e operatori pubblici e del privato sociale. Decisamente sottodimensionata la presenza governativa. Oltre alla costante presenza del sottosegretario On. Eugenia Roccella, il Ministro Maurizio Sacconi si è limitato all’invio di un “contributo filmato”, sottolineato dai fischi della platea.
Altri parlamentari, di maggioranza o di opposizione, non se ne sono visti.
La Conferenza Nazionale sulle Politiche per la Disabilità è stata sapientemente direzionata verso la celebrazione della nuova Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia dalla Legge 18 del 3 marzo 2009.
Nei gruppi di lavoro e nell’assemblea plenaria sono stati evidenziati con la giusta enfasi i diritti che la Convezione introduce (o ribadisce) e la “rivoluzione” che le nuove disposizioni comporteranno nell’elaborazione normativa e delle politiche a favore delle persone con disabilità.
E a dimostrazione dell’interesse del Governo per questo nuovo caposaldo normativo, si è orgogliosamente annunciato l’imminente insediamento dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità previsto espressamente dal terzo articolo della Legge 18/2009 al fine di «promuovere la piena integrazione delle persone con disabilità in attuazione dei princìpi sanciti dalla Convenzione (…), nonché dei princìpi indicati nella Legge 5 febbraio 1992, n. 104».
Dalle parole ai fatti
Ma mentre le parole di speranza, di incoraggiamento, di celebrazione e di raccomandazione hanno tenuto la scena, quelle di critica e di realismo sono passate in sordina.
Le politiche attive per le persone con disabilità necessitano anche di una copertura economica, oltre che di un rinnovamento culturale per traghettare il welfare da logiche pietistico-assistenziali e “risarcitorie” a strategie che rendano esigibili i diritti soggettivi.
Il rinnovamento culturale – si sa – ha i suoi tempi. La copertura economica no: serve subito. Le persone hanno necessità ora e qui di servizi, assistenza, garanzie.
Appare quindi stridente il contrasto fra la celebrazione governativa (e non) di rinvigoriti diritti e la deriva dell’impegno economico a favore delle persone con disabilità, dei non autosufficienti e delle loro famiglie.
Le prove evidenti – a volerle vedere – di questo disimpegno sono, nero su bianco, nelle Gazzette Ufficiali e nelle stesse fonti governative. Prove che, con abilità prestidigitatoria, vengono nascoste ad un grande pubblico purtroppo sempre più distratto da escort e veline. La storia del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e del Fondo per le non autosufficienze sono un macroscopico esempio di scomparsa per dissolvenza.
Il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali
Il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS), istituito inizialmente dalla Legge 449/1997 e ridefinito dall’articolo 20 dalla Legge 328/2000, dovrebbe essere la fonte nazionale di finanziamento specifico degli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, così come previsto dalla Legge quadro di riforma dell’assistenza (la Legge 328/2000, appunto).
Il Fondo Sociale, nelle intenzioni, va a finanziare un sistema articolato di Piani Sociali Regionali e Piani Sociali di Zona che descrivono, per ciascun territorio, una rete integrata di servizi alla persona rivolti all’inclusione dei soggetti in difficoltà, o comunque all’innalzamento del livello di qualità della vita. Questo significa che gran parte del Fondo dovrebbe essere destinato alle Regioni che a loro volta lo direzionano agli enti locali o agli stessi Comuni per attività reali di sostegno alle persone.
Fra il 2000 e il 2006 gli stanziamenti sono rimasti sostanzialmente stabilizzati attorno ai 1.600 milioni di euro.
In realtà una buona metà del fondo se ne va all’INPS «per il finanziamento degli interventi costituenti diritti soggettivi» e cioè i permessi lavorativi (art. 33 della Legge 104/1992), assegni di maternità, assegni al nucleo familiare, indennità a favore dei lavoratori affetti da talassemia major ecc. Solo la metà viene trasferito alle Regioni e ai Comuni per interventi diretti in ambito sociale (non solo destinati alle persone disabili).
Nel 2008 lo stanziamento scende, per la prima volta, sotto i 1.500 milioni di euro (fonte: Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali).
Ma la vera sorpresa è per il 2009, 2010 e 2011: il Fondo ha una decisa retrazione (fonte: Legge 22 dicembre 2008, n. 203, Supplemento ordinario 285/L, pagina 54).
Nel 2009 sono stanziati 1.355 milioni, che diventano 1.070 per il 2010, e solo 960 nel 2011. Nel 2010 ci saranno, quindi, rispetto al 2007, circa 700 milioni di meno.
Tenuto conto che circa 750 milioni andranno all’INPS per le spese di cui abbiamo parlato, è evidente quanto rimane per le politiche attive previste dal Fondo e destinate agli Enti locali e alle Regioni. Questi sono dati certi che trovano testimonianza in documenti ufficiali. Ma non è finita!
Il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali è una di quelle voci di spesa contemplate nel Bilancio dello Stato la cui quantificazione è demandata annualmente alla legge finanziaria. Sono voci riassunte nella Tabella C delle disposizioni per la formazione annuale e pluriennale dello Stato.
Recentemente il Ministro Tremonti ha più volte affermato che alcune discusse operazioni di “drenaggio fiscale” (“scudo fiscale” e tassazione dei depositi aurei delle aziende) forniranno risorse in più per le famiglie e per le imprese.
In realtà non è così, o almeno non è questo che le norme approvate dal Parlamento prevedono.
L’articolo 14 della Legge 3 agosto 2009, n. 102 consente al Ministero dell’Economia di ridurre alcuni stanziamenti della Tabella C (fra cui quelli relativi al Fondo) nel caso lo Stato non riesca ad ottenere il gettito previsto dalla tassazione sulle plusvalenze su oro non industriale di società ed enti.
Quindi la realtà è che se il “drenaggio fiscale” non dovesse funzionare come auspicato, le risorse per il sostegno alle imprese e soprattutto alle famiglie diminuiranno ulteriormente. Il che è significativamente diverso da quanto affermato dal Ministro dell’Economia.
Il Fondo per le non autosufficienze
Il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, come già detto, non si occupa solamente delle persone con disabilità. In alcuni casi le risorse sono state pure considerate senza vincolo di destinazione (es. si è usato il Fondo per fronteggiare l’emergenza – o almeno così era considerata – della “mucca pazza”).
Nel 2006, quindi, si pensa di fronteggiare l’emergenza – stavolta vera e concreta – delle persone non autosufficienti, cioè i cittadini con disabilità con maggiore, e spesso drammatico, carico assistenziale. Si istituisce quindi uno specifico Fondo per le non autosufficienze (articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296) subito contestato per l’incongruità della copertura finanziaria rispetto alle esigenze che dovrebbe affrontare.
Al Fondo è stata assegnata la somma di 100 milioni di euro per l’anno 2007 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. L’articolo 2, comma 465, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 ha incrementato il Fondo di euro 100 milioni per l’anno 2008 e di euro 200 milioni per l’anno 2009.
Pertanto: 100 milioni per il 2007, 300 milioni per il 2008, 400 milioni per il 2009.
Altra amara sorpresa: per il 2010 e gli anni a venire la voce “Fondo per le non autosufficienze” non compare più nei bilanci di previsione.
Non se ne trova traccia nella Finanziaria del 2010 appena approvata. Il Fondo per le non autosufficienze non esiste più.
Quando si tratta di ratificare la Convenzione l’attenzione è massima; lo è pure se si devono costituire tavoli ed osservatori, ma difetta se quei diritti bisogna pure sostenerli concretamente con la carta filigranata.
Scuse infondate
Di fronte a questa innegabile ed ingiustificabile retrazione della spesa le “scuse” rimangono accettabili fintanto che qualcuno non ne fa notare l’insostenibilità.
«Il Fondo per le non autosufficienze era stato previsto dalla legge solo per tre anni». Falso! La norma istitutiva non indica nessuna sperimentalità del Fondo e nessun limite temporale. Come di prassi per qualsiasi altro Fondo, provvede allo stanziamento nei primi tre anni, rimandando alla volontà politica successiva gli ulteriori stanziamenti. No. La cessazione di questo Fondo è una scelta politica, non dettata da vincoli normativi, su cui, peraltro, il Parlamento ha potestà di modifica.
«Il Governo ha previsto altre forme di sostegno alla non autosufficienza». Fuorviante! Esiste un Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (fonte: articolo 18, comma 1, lettera b-bis), del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 gennaio 2009, n. 2).
L’articolo 22 ter della Legge 3 agosto 2009, n. 102 prevede che quel Fondo sia incrementato di 120 milioni di euro nell’anno 2010 e di 242 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2011 per interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza.
Quali siano i criteri e modalità, quanto vada alla non autosufficienza e quanto al resto, lo stabilirà non il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, ma la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
E comunque c’è una bella differenza fra i già insufficienti 400 milioni destinati alla non autosufficienza e una parte incognita di 120 milioni accantonati in un Fondo che nulla ha a che vedere con i problemi reali e drammatici delle famiglie in cui è presente una persona con disabilità grave.
Le risorse
Alla fine la risposta più sconsolata è «mancano le risorse». Viene cioè evocata quella stessa crisi di cui non si può più parlare, pena essere tacciati di “disfattismo” o “anti-italianità”.
In un momento difficile per il Paese, ad essere in maggiore difficoltà sono le famiglie che sono sempre più impoverite (fonte: La povertà in Italia nel 2008. Istat, 2009) anche dalle spese assistenziali di cui devono farsi carico. Non ci si indebita solo per comprarsi la TV al plasma o per andare in vacanza in Paesi esotici, o per impossessarsi dell’ultimo modello di auto (pur eco-rottamo-incentivata). Sono molte, moltissime, le famiglie che si indebitano o rinunciano a tutto per pagare l’assistenza ai propri familiari, per compartecipare alla spesa, per pagare e regolarizzare le badanti e tanto altro.
La vecchia scusa delle risorse è insostenibile, soprattutto da parte di chi evoca le salvifiche proprietà della “finanza creativa”. Il resto sono chiacchiere.
E con le chiacchiere non si arriva da nessuna parte, ma con il silenzio ci si ferma ancora prima. (Carlo Giacobini)