L’hanno beccato sul fatto. Il comandante della Polizia comunale di Roma ha portato la famiglia a cena in pieno centro e ha parcheggiato in un’area riservata ai disabili usando un contrassegno scaduto di cui era entrato in possesso nello svolgimento della sue abituali attività.
Negli anni, evidentemente, ha collezionato una serie di nemici e fra questi qualcuno l’ha visto, quella sera, mentre furbescamente parcheggiava in barba ai regolamenti, alle norme e, soprattutto, al buon gusto. L’ha visto e ha chiamato un giornalista: il resto è cronaca. Veltroni l’ha silurato dopo aver letto la notizia sparata su tutti giornali. Ci penserà il Tar a reintegrarlo… giacché in Italia sembra non si possa scacciare nessun dipendente pubblico, nemmeno il più negligente, senza che la giustizia amministrativa accorra in sua difesa.
Ma non staremo qui ad unirci al coro delle condanne, delle riprovazioni, del dileggio verso quel comandante. Troppo facile, troppo scontato.
Abbiamo invece rilevato – senza sorpresa, invero – un conformismo un po’ ipocrita in questi cori che hanno preferito dipingere la vicenda con i tratti e le tinte da gustosa commedia all’italiana. Anche se gli ingredienti, in effetti, ci sono tutti.
L’azione del comandante sarebbe riprovevole, con l’aggravante del ruolo pubblico da lui ricoperto, ma di quante altre persone ogni giorno, in ogni città d’Italia, occupano abusivamente quegli spazi nessuno ne parla. Quanti di quei giornalisti che hanno posto alla berlina il comandante possono affermare senza timore di smentita di non aver mai parcheggiato sopra i marciapiedi o di aver messo le ruote sopra il pittogramma della carrozzina? Quante persone che hanno espresso la loro rabbia da Bar Sport si comportano civilmente e nel rispetto del buon gusto prima ancora che del Codice della Strada? È immediato, facile, liberatorio demonizzare i comportamenti altrui e ridere di chi viene pizzicato con le dita nel naso. Serve a far dimenticare le nostre quotidiane “perdonabili” illegalità: “Sì, anche io lo faccio, ma non sono il comandante dei vigili…”. Ecco, appunto!
E vogliamo parlare di Veltroni? La rimozione era il minimo che potesse fare, ma è stata un’azione di tutela della sua amministrazione, mica un impegno per la mobilità delle persone con disabilità. Il comandante avrebbe potuto essere rimosso anche se fosse stato pizzicato alticcio al volante o a gettare l’immondizia da Ponte Milvio… mica è stato rimosso – di per sé – perché ha violato i diritti delle persone con disabilità. Quindi, le persone con disabilità non si spellino le mani ad applaudire e gli altri opinionisti non prendano il loro posto.
Veltroni e i suoi colleghi sindaci vogliono attuare qualcosa di davvero utile per la mobilità di chi è più a disagio nelle loro città?
Non ci vuole tanta fantasia. Ordine di servizio alla Polizia Municipale che preveda il controllo costante dei parcheggi occupati abusivamente. Applicazione di quanto previsto del Codice della Strada: due punti di decurtazione dalla patente per chi occupa illegalmente gli spazi riservati agli invalidi. Rimozione forzata dei veicoli evidenziata nella segnalazione verticale. Aumento dei parcheggi riservati. Controllo e ritiro dei contrassegni scaduti per decesso del titolare.
Il tempo per le iniziative di sensibilizzazione è scaduto: “Hai preso il mio posto, prenditi anche il mio handicap” ha fatto il suo corso, chi voleva capire ci è arrivato. È come per il rispetto delle norme sulle barriere, o per l’integrazione lavorativa, o tanti altri aspetti che riguardano le persone più deboli. Perché l’applicazione delle norme dovrebbe essere condizionata da un buon cuore che va sensibilizzato? Dov’è la certezza del diritto?
Ora è tempo di applicare le norme, chiarissime e uguali per tutti, e le conseguenti sanzioni, per quanto impopolari.
Non siamo ingenui: è più redditizio piazzare un autovelox su un rettilineo di 800 metri e fissare il limite di 50 chilometri orari, che elevare “artigianalmente” contravvenzioni per divieto di sosta…
È più facile, ma il diritto alla mobilità non si tutela solo con “chiacchiere e distintivo”. (Carlo Giacobini)