Conservo ricordi vividi e commossi del medico di famiglia che seguiva me e i miei fratelli quando s’era bimbi. Fra malattie infettive più o meno frequenti, ferite e lesioni, patologie incerte, il buon uomo era per casa almeno una volta alla settimana, dato anche il numero di mocciosi consanguinei adusi ad infettarsi l’un l’altro. E d’altra parte suo padre era stato il medico di mio padre e di mio nonno e suo figlio, sanitario pure lui, ha continuato a curarmi, pur con scarsa soddisfazione, finché non mi sono trasferito. Premessa per introdurre la stima e la considerazione per i medici di famiglia, per il loro ruolo, per le loro potenzialità a favore della tangibile prossimità della sanità, dell’accompagnamento che possono garantire a persone e famiglie. E anche comprensione per i sovraccarichi che in alcuni casi patiscono.
Sarà a causa di questa personale visione che non riesco a ritenere i medici di famiglia (medici di medicina generale e pediatri di libera scelta) i responsabili del pasticcio che sto per raccontare.
Per chiedere l’accertamento dell’invalidità civile o dell’handicap (la 104) o ancora per ottenere la valutazione utile a iscriversi, come disabili, agli uffici di collocamento, bisogna presentare domanda all’INPS. Però per poterla inoltrare è indispensabile prima che un medico, e di solito è il medico di famiglia, rediga un certificato introduttivo predisposto da INPS e lo immetta telematicamente nel sistema dell’Istituto. Altro modo non c’è.
Quel certificato comprende i dati anagrafici del paziente, una descrizione del quadro clinico e una serie di altri flag che riguardano, ad esempio, la presenza di patologie oncologiche. Fine, premi invio.
Questa è una prestazione libero professionale: significa che il medico ha diritto di chiedere il pagamento della parcella.
I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta non sono dipendenti dal Servizio Sanitario Nazionale (o Regionale). Con esso sono convenzionati e il tutto è disciplinato da un puntuale Accordo Collettivo Nazionale sottoscritto da un lato dal Ministero e dell’altro dai loro rappresentanti. Fra le prestazioni previste nell’Accordo non c’è la redazione dei certificati introduttivi, non c’è mai stata nonostante varie sollecitazioni nel tempo. I moltissimi Ministri che si sono succeduti non hanno mai ritenuto di insistere.
Quindi il paziente paga. E quanto paga? Lo decide il medico con cifre assai variabili. 30, 50, 70 euro… Alcuni Ordini provinciali consigliano tariffe di riferimento ma, come noto, il prezzo praticato dal libero professionista non può essergli imposto.
“Il mio medico non mi ha mai fatto pagare.” Bravo. Gli è andata bene che nessun collega lo abbia ancora deferito all’Ordine per concorrenza sleale. Gli è andata bene di non aver ricevuto accertamenti fiscali, visto che il suo certificato è super-tracciato e risulta come prestazione.
“Sì, ma quanti mai saranno questi certificati?” commenta in benaltrista di turno. Il Pre Rendiconto Sociale INPS 2020 ci risponde: al 31 dicembre 2020 erano esattamente 2.099.374 le domande di prima istanza pervenute all’Istituto. Lascio a voi la stima non tanto dell’ammontare che ricevono i medici – del tutto lecitamente, ben’inteso – ma di quello che esce dalle tasche dei cittadini in attesa di riconoscimento dell’invalidità.
Qualcun altro ha intravisto la soluzione nei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza disciplinati nel 2017 con un decreto del Presidente del Consiglio. In uno degli allegati (il primo, lettera G, per la precisione) una lettura superficiale ventila la possibilità che, almeno in ambito di strutture pubbliche, quel certificato possa essere garantito e gratuito. Purtroppo non è così: leggendo meglio nemmeno quel decreto l’ha previsto, ammettendo invece la garanzia delle prestazioni diagnostiche che possono essere utili nei percorsi di accertamento di invalidità, disabilità, handicap. In pratica quella documentazione che poi serve al momento della visita.
Non è questione di lana caprina poiché se quei certificati introduttivi fossero stati previsti nei LEA, le relative prestazioni potevano essere oggetto di contrattazione fra le singole regioni e gli medici di medicina generale e i pediatri.
Ci provò nel 2019, Gallera, allora assessore lombardo alla sanità, ricevendo una doccia fredda e innescando una levata di scudi della FIMMG di fronte al Ministero della salute che non riuscì a contestare la linearità giuridica delle controdeduzioni della Federazione.
Non se ne esce: le persone e le famiglie continueranno a pagare se – alla prossima occasione – il Ministero non imporrà una modificazione chiara a netta dell’Accordo nazionale o, almeno, dei Lea.
Ma per farlo è necessario volerlo. E finora così non è stato.