È dunque conclusa la kermesse del G7 sulla disabilità (14/16 ottobre 2024) fra applausi e soddisfazione, con un ampio e variegato uditorio e financo con una apposita emissione filatelica. I media hanno velocemente riprodotto le veline dell’evento senza particolari approfondimenti e commenti, salvo la sottolineatura che l’Italia “ne esce bene”.
Per qualche giorno scompaiono dalle colonne dei giornali notizie di ordinaria discriminazione, di esclusione sociale, di contenziosi con le scuole, con i servizi sociali, o per l’accesso alla salute. Si dissolvono le news sugli abusi e sulla segregazione, fatte sparire come si fa con i randagi in occasione di certe convention esotiche.
Lo zenith del fulgido ottimismo lo raggiunge la FISH, organizzazione largamente rappresentativa del movimento, che annuncia sul suo sito “che il nostro Paese è all’avanguardia nell’inclusione” e che “dai vari panel è emerso che il sistema Italia è molto più avanti di altri Paesi del G7.”
Quale sia il Paese reale a cui si riferisca la FISH non è dato sapere. Certamente non è quello che purtroppo conosco io e che è un caleidoscopio di quotidiane drammatiche segnalazioni.
Secondo la narrazione poi, in esito al G7, vi sarebbero finalmente degli “atti concreti” dai quali “non si può più tornare indietro”.
Anche in questo caso non è dato sapere quali saranno gli atti concreti partoriti nei luoghi del Poverello che da domani, quand’anche fra un mese o fra un anno, garantiranno una piena inclusione scolastica, un accesso dignitoso al mondo del lavoro, l’abitare in autonomia, o finalmente sostegni ai caregiver familiari… o faranno cessare la segregazione che ancora esiste nel nostro Paese.
Eppure si sventola trionfalmente la Carta di Solfagnano vergata dai sette ministri presenti, incensandola con iperbolici aggettivi e attribuendovi una epocale funzione di svolta, un cambio di passo (espressione che non si può più sentire).
Ne ho letto il testo più e più volte. I contenuti sono assolutamente condivisibili e riprendono a piene mani, com’è ovvio che sia, quanto già profusamente espresso dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità. Niente di davvero innovativo o che inneschi una cogenza rafforzata, non un impegno esplicito su risorse volte a consolare un tristo piatto che piange lacrime amare.
Un documento che sarebbe stato straordinario nel 2005. Ma nel 2006 tutti i Paesi presenti al G7 la Convenzione l’hanno sottoscritta, si sono già formalmente e solennemente impegnati al Palazzo di Vetro su quelle prescrizioni di civiltà. Ognuno di loro l’ha poi lestamente ratificata. Dove sono stati finora quegli stessi Paesi ai vertici delle classifiche mondiali? Che hanno fatto di bello negli ultimi 18 anni?
Questo restituisce una più realistica grammatura a quella Carta, al netto del dubbio peso specifico, in termini geopolitici, di un organismo come il G7.
Peraltro dal 2006 si annoverano un profluvio di atti internazionali che molto più operativamente hanno formulato indicazioni e traiettorie su quegli stessi temi, per tacere delle disposizioni UE.
E si va dalla Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile (SDG) del 2015, (in particolare i goal 4, 8, 10), alla Carta di Incheon sull’Educazione Inclusiva (2015), alle risoluzioni di ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) del 2015 e 2019 a molti altri atti e report internazionali.
Per tacere della UE. In questo caso per 3 dei membri del G7, inclusa l’Italia, vi sarebbero già indicazioni più puntuali e cogenti della novella Carta di Solfagnano: la Strategia Europea per la disabilità (2021-2030), l’European Accessibility Act (2019), la Convenzione di Istanbul (2011) del Consiglio d’Europa, o il piano di azione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali… tanto per citarne alcuni in ordine sparso.
La Carta di Solfagnano si profonde a rassicurare che tutte le politiche di qui in avanti saranno elaborate con le organizzazioni delle persone con disabilità che potranno continuare a tracciare le linee del dibattito. “Nulla su di noi, senza di noi” è la strada da dove non si torna indietro, suvvia.
Il che, alla reale persona con disabilità, alla comune famiglia alla prese con le angustie quotidiane, lascia il sentore che, in questo teatrino, vi sia qualcuno che è più “noi” di altri.
E che, in realtà, il motto sia più breve e un po’ più sinistro: “Nulla su di noi”.
Anche per quest’anno se ne parla l’anno prossimo. O al prossimo G20.