Le mirabolanti performance della finanza creativa riescono sempre a superare se stesse. Con invidiabili capacità illusionistiche fanno comparire risorse apparentemente nuove semplicemente traslandole da un conto ad un altro, quasi un miracolo di bilocazione. E in questo gioco a somma zero non mancano mai le ricadute politiche e di equilibri di poteri. Di sostanza, però, per le persone rimane assai poco.
Negli ultimi anni, nelle ultime legislature abbiamo raccolto un profluvio di belle parole e di buone intenzioni verso i caregiver familiari. Tutti d’accordo, in un commovente abbraccio bipartisan, ad introdurre futuribili sostegni e supporti verso quelle persone che dedicano, loro malgrado, la propria esistenza o buona parte di essa ad assistere – non solo gratuitamente ma rimettendoci in termini di salute, soldi, serenità – propri congiunti con gravi compromissioni, patologie degenerative, non autosufficienza, problemi di salute mentale, compensando i vuoti dei servizi pubblici.
Quanto però a consolidare disposizioni e politiche scrivendole nero su bianco siamo ancora a “caro amico…”. Dopo il guizzo del 2017, quando la legislatura volgeva al termine senza un nulla di fatto, che aveva definito per legge cosa mai si intedesse per carigever familiare, si sono susseguite proposte tanto gravide di firme quanto sterili in effetti.
Nel 2017 era stato istituito pure uno specifico fondo, quasi a testimoniare la bontà degli impegni futuri, destinato a sostenere i successivi interventi legislativi. Non che il fondo traboccasse di risorse, ma 20 milioni per gli anni 2018, 2019 e 2020 erano da intendersi quasi un segnaposto: faremo!
Segnaposto rafforzato l’anno successivo in legge di bilancio con ulteriori 5 milioni e affidando il bottino alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che, assieme al Ministro per le disabilità, avrebbe dovuto stabilirne l’uso.
Intanto i foglietti del calendario cadono giorno dopo giorno, ma di quelle disposizioni promesse nel 2017 non v’è traccia. Quei quattrini rischiano di tornare al Ministero dell’economia. Non sia mai: opportunamente, con alcune prescrizioni sommarie, il gruzzolo viene ripartito fra le regioni che lo destinano, in modo spesso disomogeneo e scomposto, a bonus che i caregiver familiari possono richiedere.
Nel frattempo ancora nulla in termini di politiche strutturali. Ma il Legislatore è previdente ed iperbolico: a fine 2020 (in legge di bilancio) istituisce un altro fondo, con le medesime finalità, ma questa volta lo toglie alla Presidenza del Consiglio (leggi Ministero per le disabilità) e lo affida al Ministero del lavoro: 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023. Sempre per la copertura finanziaria di futuribili “interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale svolta dal caregiver familiare”. Interventi di cui non v’è traccia.
Di cosa lamentarsi? Dal 2020 i caregiver possono vantare non un fondo, ma ben due. Uno vuoto e uno pieno, ma tant’è.
La svolta (epocale direbbe qualcuno) nel 2023: arriva il Fondo unico. “Al fine di assicurare un’efficiente programmazione delle politiche per l’inclusione, l’accessibilità e il sostegno a favore delle persone con disabilità, a decorrere dal 1° gennaio 2024 è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, il Fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità con una dotazione di euro 552.177.454 per l’anno 2024 e di euro 231.807.485 annui a decorrere dall’anno 2025.”
Per costituire e dare sostanza al Fondo unico però vengono “congruentemente” abrogati una serie di altri Fondi: il Fondo per l’inclusione delle persone con disabilità, il Fondo per l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione degli alunni con disabilità, il Fondo per l’inclusione delle persone sorde e con ipoacusia e, udite udite, anche il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare (quello del 2017, vuoto dunque). Resta l’altro Fondo caregiver che però rimane al Ministero del lavoro e che non confluisce certo del Fondo unico.
Imbarazzante…. Ma si compensa l’amnesia prevedendo che fra le finalità del fondone ci siano a pieno titolo “interventi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del caregiver familiare”. La solita formula che però per funzionare dovrebbe pescare nel fondo indistinto la cui somma è inferiore ai singoli fondi abrogati. Si cambia nome della pagnotta, ma la farina è sempre la stessa.
Poco male: mentre nelle commissioni parlamentari languono proposte di legge, mentre alacremente discettano tavoli di confronto sine die, mentre il Ministero dell’economia fa i suoi conti su possibili platee e relative spese, una certezza c’è. Presso il Ministero del lavoro, come al Cremlino negli anni 50, c’è una piccola lucina accesa: esiste un Fondo per gli “interventi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del caregiver familiare”. Fra l’altro è “generosamente” rifinanziato dalla legge di bilancio in via di discussione in questi giorni: 62,5 milioni per il 2025, 57,5 per il 2026, 61,25 per il 2027…
Fino ad oggi, fino a qualche giorno fa.
In fase avanzata dell’iter parlamentare della legge di bilancio per il 2025 appare, assieme a molti altri, un emendamento governativo, regolarmente bollinato dal Ragioniere dello Stato, che quindi conta su amplissime chance di approvazione. L’emendamento introduce un nuovo articolo dal titolo assai suggestivo «Art. 38-bis (Misure in materia di cura e di assistenza del caregiver familiare)». Stai a vedere che siamo a una svolta… Il testo, intreccio di richiami normativi, non fa cogliere la distanza fra titolo del contenuto e sostanza del provvedimento, proprio perché è un gioco di illusionistico prestigio. La sostanza è che “fino all’adozione degli interventi legislativi” per i caregiver familiari, quel fondo lo usiamo per altro. Le risorse, rimpinguate dalla stessa legge di bilancio, confluiscono nel Fondo Non Autosufficienza (FNA) per poi essere destinati agli Ambiti Sociali Territoriali che li impiegheranno a favore degli anziani non autosufficienti (attività di assistenza sociale e sociosanitaria, servizi sociali di sollievo, servizi di sollievo …).
Bene inteso: i servizi finanziati sono di condivisibile rilievo ed importanza, ma ben poco hanno a che vedere con misure – presenti o attuali – a diretta fruizione dei caregiver familiari. Per tacere del fatto che anche la stessa riforma della non autosufficienza (anziani) meriterebbe ben altri investimenti dati i tratti drammatici e impegnativi del fenomeno da aggredire. Al contrario rosicchia qua e la risorse in attesa di un domani migliore.
In pratica quei quattrini verranno usati per dare un po’ di fiato alla boccheggiante riforma della non autosufficienza approvata in Italia contestualmente a quella sulla disabilità sull’onda del salvifico PNRR. Due riforme che fra loro non si parlano, elaborate in luoghi differenti, da attori differenti, con linguaggi e visioni differenti, sotto cappelli politici differenti e parrocchie diverse ancorché della stessa maggioranza.
E anche per quest’anno dunque niente di nuovo all’orizzonte. Il nostro resta il Paese delle vacche di Mussolini che spostava la stessa mandria lungo la Penisola per impressionare il Führer.
Note: